Le bandiere della nuova Al Qaeda sull'Iraq
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Le bandiere della nuova Al Qaeda sull'Iraq

La vecchia organizzazione verticistica capeggiata da Bin Laden non esiste più ma, a Falluja, è risorto il vecchio sogno transnazionale del califfato islamico

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Quel che sta accadendo nelle ultime settimane in Iraq, è solo l’ultimo capitolo di una “never-ending crisis” che affligge questo Paese da ormai un decennio e più recentemente tutto il Medio Oriente. L’impennata di attacchi e di morti avvenuta nel 2013 è conseguenza anche della guerra in Siria ma, soprattutto, della “guerra dei Trent’anni” riaccesasi tra sunniti e sciiti. 

Il premier iraqeno Nouri Al Maliki può bombardare Falluja, Ramadi e tutta la provincia di Anbar caduta sotto il controllo delle milizie qaediste dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS), ma non riuscirà da solo a fermare l’inerzia di un progetto trans-nazionale che oppone due visioni inconciliabili per il futuro di queste terre, la creazione di un califfato islamico da un lato e la conservazione dello sciismo al potere dall’altro.

 

Quando si osserva che a Falluja sono comparse le bandiere di Al Qaeda si dice una cosa vera a metà: è vero che sono state sventolate bandiere nere con il simbolo di Al Qaeda, ma è altrettanto vero che si è trattato di manifestazioni di estremismo sunnita, nel contesto della guerra civile che in Iraq e in tutto il Medio Oriente oppone ancora queste due anime, quella sciita - in generale minoritaria, ma al potere in Iraq, Iran e Siria - e quella largamente maggioritaria sunnita.

 

Il problema è dunque la contrapposizione difficilmente risolvibile (anche perché va avanti a fasi alterne da oltre mille anni) tra due versioni inconciliabili dell’Islam, la Sunna e la Shia. E che oggi non si contrappongono più con le sciabole, ma con armi sofisticate ed esplosivi capaci di grandi stragi. L’Al Qaeda che conoscevamo - quella di Bin Laden - non esiste più, mentre esiste una frattura all’interno di Paesi le cui frontiere non sono riconosciute dai loro abitanti perché vennero disegnate dalle potenze coloniali senza tener conto delle differenze etniche e religiose, che oggi si scontrano, proprio come avvenne in Europa tra protestanti e cattolici nel Seicento. Finché non si arriverà a una pace di Westafalia tra sunniti e sciiti, la guerra intestina al mondo arabo-musulmano continuerà.

 

La nuova Al Qaeda
Al Qaeda è stata un’organizzazione carismatica che ha operato e si è sviluppata grazie all’attivismo e alle capacità organizzative del suo leader, il saudita Osama Bin Laden. Grazie ai suoi mezzi finanziari, Osama per quindici anni non si è limitato soltanto a definire l’ideologia del “nuovo califfato islamico” ma ha creato una rete che arrivava a dare stipendi anche di 2mila dollari al mese a tutti i suoi operativi.

 

L’Al Qaeda che abbiamo conosciuto dagli anni Novanta fino alla morte di Osama Bin Laden, non esiste più. Non esiste, cioè, un’organizzazione gerarchicamente strutturata e ben organizzata in grado di pianificare campagne coerenti con un’unica impostazione ideologica. È rimasto invece, il “brand” Al Qaeda. Un marchio che attrae il main stream giornalistico occidentale perché semplifica fenomeni complessi e consente di raccontare al pubblico che “Al Qaeda è tornata”. In realtà, non è esattamente così. Oggi la contrapposizione mortale è ancora tra sciiti e sunniti, oltre che tra estremisti sunniti e movimenti secolari. Ed è un movimento gigantesco che coinvolge e attraversa tutti i Paesi arabi.

 

Una dimostrazione? Potremmo citare due personalità che tanta parte hanno avuto e mantengono sia nella gestione della nuova Al Qaeda all’interno del conflitto iracheno-siriano, sia nel dibattito filosofico e strategico intorno alle attuali strategie globali del terrorismo di matrice qaedista: sono lo sceicco Abu Bakr al Baghdadi, a capo di ISIS (Stato Islamico in Iraq e nel Levante), e il siriano Mustafa Setmariam Nasar, conosciuto come Abu Musab Al Suri, e indicato dagli esperti d’intelligence come il potenziale successore del fondatore stesso.

 

Al Baghdadi e Al Suri, il combattente e l’ideologo

Entrambi cresciuti all’ombra della guerra globale all’Occidente, una volta raggiunti i vertici dell’organizzazione, hanno sostanzialmente deviato dalla dottrina di Bin Laden e oggi rifiutano la dottrina di Ayman Al Zawahiri, il numero due di Al Qaeda e braccio destro di Bin Laden.

 

Al Baghdadi è in questo momento alla testa del potere militare dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, formazione sunnita legata ad Al Qaeda comparsa in Iraq nell’aprile del 2013 (erede di AQI, Al Qaeda in Iraq) e che si ritiene sia formata da migliaia di guerriglieri. ISIS è oggi uno dei principali gruppi di fuoco che combattono Assad in Siria, ma non per questo si perita a lanciare autobombe contro moderati laici e sunniti, che dissentono dai metodi dei suoi miliziani e rifiutano il terrorismo come modus operandi. Di fatto, è questo a creare una guerra intestina tra le opposizioni, ed è ciò che contribuisce maggiormente allo stallo nel conflitto siriano e contemporaneamente alimenta quello iracheno.

 

Diversa è la storia di Abu Musab Al Suri: misteriosamente sparito nel 2005 dopo che l’intelligence pakistana (ISI) lo aveva arrestato a Quetta, nel Baluchistan, e consegnato agli americani in qualità di terrorista di Al Qaeda, la sua figura è legata alla leadership culturale della nuova Al Qaeda. Suo è l’appello alla “resistenza islamica mondiale”, pubblicato su internet nel dicembre 2004, in aperto contrasto con la strategia globale di Bin Laden e di Al Qaeda. L’idea culminante del suo manifesto jihadista è quella di uno scontro continuo portato ai nemici del califfato da parte di piccole cellule indipendenti, nonché quello di una guerra chimica contro l’Occidente e l’America: “una bomba sporca per un Paese sporco”.

 

Entrambe queste visioni, se possibile, sono ancora più violente ed estremiste di quelle della vecchia Al Qaeda. Sia come sia, vedere Al Qaeda in Iraq è guardare il dito e non vedere la luna. Anzi, la Mezzaluna e i suoi due volti, ancora una volta quello sciita e quello sunnita.

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Luciano Tirinnanzi