La (in)giustizia del G8
News

La (in)giustizia del G8

Pugno duro con la Polizia, sconti ai "no global" e poca memoria storica

Un bell’esercizio di memoria fa sempre bene. Specie quando la giustizia piomba in una rovente giornata di luglio, dopo undici anni di indagini e processi. Cinque colpevoli, tre con pena ridotta, tra i no global del G8 2001. È (quasi) la parola fine della magistratura sui fatti di Genova dopo l’altra sentenza che qualche giorno fa aveva provocato la decapitazione della polizia di Stato per l’assalto alla Diaz.

Alcuni tra i nostri migliori “poliziotti” sono passati dalle sale operative e dalle centrali investigative (dove si erano distinti nella lotta alla criminalità organizzata e a quella politica e comune) direttamente all’affidamento ai servizi sociali. Giusta sentenza, se è vero che furono responsabili a vario titolo della vendetta sui manifestanti del G8 sorpresi nel sonno alla Diaz e massacrati di botte, ma anche una sentenza che rattrista per la qualità dei personaggi coinvolti. Per loro non c’è stato, come per i no global condannati dalla Cassazione, alcun appello di intellettuali (Dario Fo, Franca Rame, Erri De Luca e Margherita Hack). C’è sempre una spiegazione sottile nei manifesti della cultura di (estrema) sinistra, un’ipocrisia intollerabile. Dicono: perché condannare proprio quei dieci no global e non tutti gli altri? No ai capri espiatori. Ma la violenza, quella no, gli intellettuali non la condannano mai.

Per favore, basta. Rinfrescare i ricordi (io a Genova c’ero, come tanti altri) fa bene alla giustizia. Non quella che si amministra nelle aule, ma quella che abita nei cuori quando si è chiamati a “giudicare” i fatti e le persone.

Il punto è che la Cassazione ha consacrato la galera soltanto per metà degli imputati, mentre per altri cinque il processo è da rifare tenendo presente l’attenuante “di aver agito per suggestione di una folla in tumulto”. Per tre dei condannati c’è pure lo sconto di pena. Le condanne piene si riducono a due. I no global volevano l’assoluzione e hanno espresso “disappunto” a Roma incendiando cassonetti e lanciando bombe carta, e uova e vernice contro il ministero della Giustizia.

I sindacati dei poliziotti non capiscono perché tanta indulgenza nei confronti di giovanotti che a Genova avevano terrorizzato e messo a ferro e fuoco la città. La prescrizione aveva graziato altri 15 manifestanti, tra cui il “pacifista” che aveva sfondato con una trave il Defender dei carabinieri da cui l’appuntato Placanica, rintanato dentro, sparò e uccise Carlo Giuliani che, fuori, brandiva un estintore.

Rinfreschiamoci la memoria. I danni alla città furono quantificati in 60 milioni. Incendiate 83 auto, 25 moto, assaltati 41 negozi, 34 banche, 9 uffici postali, 16 distributori di benzina, 7 palazzi, una ventina di bancomat e 9 cabine telefoniche.

Soprattutto, i no global e la frangia dei black block misero in ginocchio una città come Genova, martellarono per un’intera giornata carabinieri e poliziotti che facevano cordone attorno alla zona rossa, immobili, sotto la pioggia incessante di bottiglie, pietre e sputi. I manifestanti crearono una situazione esplosiva nella quale sarebbe potuto succedere di peggio. Sarebbe potuto scorrere anche più sangue, con più morti. Cinquecento tra poliziotti e carabinieri finirono all’ospedale.

Sul “Corriere della Sera”, Carlo Federico Grosso ricorda come i reati per i quali sono stati condannati i no global (devastazione e saccheggio) non sono reati da nulla: significano la distruzione accanita e carica d’odio di cose e luoghi da parte di gruppi organizzati mascherati e armati di mazze, spranghe e bombe molotov, in un contesto di guerriglia eversiva che non si limita a danneggiare e rubare, ma si dà al saccheggio sistematico.

Certo, i poliziotti della Diaz si sono salvati con la prescrizione, giovandosi del fatto che in Italia non esiste ancora il reato di tortura. Ma l’ordalia di violenza a cui abbiamo assistito a Genova aveva da un lato degli aggressori, dall’altro dei difensori dei cittadini che sopportarono per tutto un giorno l’impietoso e beffardo “massaggio” dei black block e si sono poi scatenati (una parte di loro) in un raid punitivo frutto della frustrazione e delle ferite subite il giorno prima senza poter reagire.

Se non c’è clemenza o indulgenza da una parte, non può esserci neppure dall’altra. Una giustizia troppo lunga finisce con il colpire sempre persone “diverse”. Ma l’aspetto più grave è che negli anni rischia di perdersi la memoria del fumo, del sangue, della follia di quelle ore e di quei giorni a Genova. Intellettuali che per partito preso assumono la difesa d’ufficio dei violenti non solo calpestano il senso comune, la giustizia, la memoria e la città di Genova, ma tradiscono la radice di violenza che è nelle loro parole, tutt’altro che innocue.

È bene anche ricordare le responsabilità politiche e morali, a partire dalla scelta, da parte del governo D’Alema, di Genova come sede del Vertice dei Grandi, pur nella consapevolezza dei rischi. Tutto per un basso interesse economico e politico dell’allora governo nazionale in combutta con quello locale. Cerchiamo di non dimenticarlo.

I più letti

avatar-icon

Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

Read More