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La guerra dell'Isis: spietata, espansiva, repressiva

La strage di Dacca mostra la forza jihadista: l'affiliazione. Portata avanti con coltelli affilati e barbarie. A cui rispondere con una nuova strategia

I meccanismi della politica internazionale in fondo non sono complicati. Conoscendo le caratteristiche dei protagonisti, si tratta di mettere da parte la retorica, per esempio quella dell’Islam buono (non perché non ci sia un Islam “buono” ma perché il tema purtroppo è l’Islam “cattivo”) e ragionare in termini di potenza.

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Lo scontro di civiltà è anzitutto uno scontro mirato ad affermare il proprio universo di valori e il benessere della propria gente. Ma resta uno scontro militare. E quello a cui assistiamo è un confronto che ormai viene comunemente definito “asimmetrico”.

Da un lato abbiamo il mondo occidentale alleato con Stati o regimi non islamisti o non jihadisti. Dall’altro un nucleo che fa della crudeltà la propria forza, che sta perdendo terreno là dove ha cercato (e questa è la sua peculiarità rispetto ai gruppi jiadisti precedenti come Al Qaeda) di creare un vero e proprio Stato. Uno Stato Islamico.

L’ideologia di questo Stato è espansiva e repressiva. Vuole estendersi a più continenti, e per farlo non disdegna il franchising e i nuovi media. Sul terreno controlla porzioni di territorio iracheno e siriano, e per affiliazione aree sparse in Africa, specialmente in quella Libia che proprio l’Occidente, in primis la Francia, ha scientemente destabilizzato e distrutto lasciando spazio agli estremisti.

Là dove si è insediato, l’Isis ha creato un regime esclusivo e criminale. È presente anche in Asia. Lo abbiamo visto tragicamente all’opera a Dacca, nel Bangladesh. Non è stato un attacco agli italiani, ma a un ristorante frequentato da occidentali. La lezione che dobbiamo trarne è che l’Italia, per quanto stia cercando con encomiabile equilibrismo politico-diplomatico di non finire nel mirino dei terroristi e abbia tirato una linea rossa molto precisa tra il coinvolgimento sul campo in chiave difensiva o umanitaria e l’attacco diretto all’Isis (al quale ci siamo rifiutati di partecipare), si ritrova in prima linea a causa della sua collocazione geo-strategica, del suo essere paese occidentale, per di più simbolicamente bersaglio ideale dei terroristi islamici in quanto culla e sede del Papato.

Adesso leggiamo retroscena su cambi di strategia del governo riguardo alla lotta al terrorismo. Questo è inevitabile. Sgozzare ritualmente nove italiani in un ristorante perché non conoscono il Corano è un altro tassello della guerra globale all’Occidente (non soltanto all’Italia), alla quale un paese con un briciolo di dignità deve reagire.

C’è una guerra che ci ostiniamo ancora a evitare ma nella quale siamo dentro, ci stiamo profondamente, e che ci accompagnerà a lungo. Noi finora ci siamo illusi di combattere l’Isis con le parole. Con l’intelligenza. Con l’Intelligence. Il problema è che le parole dell’Isis non sono pietre ma coltelli affilati. Sono residui barbarici. E uccidono.

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ANSA/FACEBOOK - LINKEDIN
Le vittime italiane della strage di Dacca, da sinistra e dall'alto in basso: Cristian Rossi, Vincenzo D'Allestro, Maria Riboli; Nadia Benedetti, Simona Monti, Marco Tondat; Adele Puglisi, Claudio Cappello, Claudia D'Antona.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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