La civiltà giuridica e i magistrati cialtroni
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La civiltà giuridica e i magistrati cialtroni

L'intercettazione di Manganelli riapre il dibattito sul diritto alla riservatezza delle conversazioni telefoniche

Troppo spesso in questo Paese si tende a non voler guardare o accettare la realtà, troppo spesso si è addirittura preferito negare l’evidenza. Per calcoli politici, per ingraziarsi la parte più politicizzata della magistratura o, peggio, per delegittimare l’avversario politico. Il tema della riservatezza delle indagini e del diritto di ogni cittadino (noto e meno noto) a non vedere la propria vita criminalizzata o brutalizzata attraverso la pubblicazione di brandelli di intercettazioni telefoniche dovrebbe costituire un principio condiviso di civiltà umana, ancor prima che giuridica. Sapete, invece, come va. Trovo assolutamente istruttivo quanto pubblicato su alcuni quotidiani martedì 29 gennaio riguardo a un’inchiesta che coinvolge alti funzionari della polizia di Stato per questioni di appalti (non v’è traccia di condannati dopo 3 anni di accertamenti).

Nel Paese dove si ascoltano le conversazioni di alte personalità neppure indagate, come il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, può apparire persino banale sorprendersi che vengano registrate conversazioni e sms del capo della polizia, Antonio Manganelli, un galantuomo a cui questo Stato deve moltissimo, ovviamente non indagato. È successo. «Niente di irregolare, Manganelli parlava con una persona sotto indagine» diranno col ditino alzato i non vedenti della inciviltà giuridica. Vero: il capo della polizia parlava con un indagato, ignaro di esserlo all’epoca. E che indagato: il pericolosissimo e disdicevole personaggio beccato dalla Procura di Napoli al telefono con il responsabile dell’ordine pubblico in Italia altri non era che il prefetto Nicola Izzo, vicecapo della polizia e quindi tra i collaboratori più stretti di Manganelli. È assai interessante leggere che cosa captano le antenne degli inquirenti. In quei giorni i giornali anticipano brandelli di indagine, conoscono il calendario degli interrogatori prima degli interessati, seguono in tempo reale i passi degli investigatori. Un canovaccio a cui siamo abituati dai tempi di Mani pulite. Il capo della polizia commenta: «Che escano le cose sul giornale è una cosa indegna che fa… veramente mi disgusta… ’sta cronaca minuto per minuto di una fase di accertamento che è veramente ancora un accertamento preliminare mi disgusta… Insomma, è più grave la fuga di notizie che io devo sapere le cose minuto per minuto o più grave la forzatura… a me pare molto più grave il fatto che un cialtrone di magistrato dia la notizia fuori indebitamente in violazione di legge. Là c’è violazione di legge sicura… il fatto stesso che sta sui giornali è una violazione di legge». Sintesi di un quotidiano (tanto per ribadire che i giornalisti prima di saper scrivere dovrebbero saper leggere): «Il capo della polizia al telefono definì i magistrati “cialtroni”».

Ecco: Manganelli dice una semplice verità che se detta da chiunque altro in questo Paese sarebbe giudicata come vergognosa delegittimazione della magistratura. E invece è la pura verità: esistono magistrati cialtroni che giocano con le notizie, le reputazioni e la vita degli altri. Scavate nella memoria e cercate di ricordare quanti cortocircuiti tra procure e giornali sono avvenuti in questi ultimi anni, con danni anche irreparabili per le persone: potrete compilare una vostra statistica sui magistrati cialtroni attualmente in servizio in Italia.

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Giorgio Mulè