L'Italicum e la palude
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L'Italicum e la palude

A meno che i senatori non compiano il harakiri e aboliscano il Senato, la nuova legge elettorale ci riconsegnerà le larghe intese in eterno. È questa la svolta di Matteo?

Il paradosso Renzi. Matteo voleva portarci fuori dalla palude ma si è impantanato. Nonostante i problemi già evidenti di queste ultime ore, con la bocciatura alla Camera delle "quote rosa" e delle preferenze, dirà, forse, che dopo anni di stasi (o Stasi) è riuscito a portare a casa una nuova legge elettorale. Peccato però che sia una legge dimezzata: vale solo per la Camera e da Italicum si è trasformata in "Strabicum" (felice definizione di Claudio Cerasa sul Foglio). Legge, in realtà, nata e sputata per non farci andare a votare. Non, almeno, prima di un anno o due. Rimanendo così, infatti, in qualsiasi momento abbiamo la certezza di non potere con il voto mandare a Palazzo Chigi un premier in grado di formare una propria maggioranza e governare. Alla Camera ci sarebbe un vincitore (ma con solo 5 seggi in più rispetto alla maggioranza assoluta) mentre al Senato sarebbe inevitabile l’inciucio o, di nuovo, un compromesso da più o meno larghe intese. Insomma, ci ritroviamo da capo a dodici. Un brusco risveglio.

A meno che, ovviamente, i senatori non compiano il harakiri e aboliscano il Senato, cioè se stessi, segando il ramo su cui siedono. A quel punto l’Italicum funzionerebbe. Ma anche se il miracolo si realizzasse, per cancellare il Senato paritario alla Camera ci vorrebbe almeno un anno. Quasi sicuramente di più. E nel frattempo?

Matteo Renzi gode ancora, probabilmente, della fiducia degli italiani, ma con un’inerzia che prima o poi potrebbe ritorcersi contro di lui come un boomerang. Il paese non ha più tempo. Gli italiani non hanno più tempo. L’Europa non ci dà più tempo. Ma i parlamentari, in particolare quelli del Pd che non amano Renzi, il loro segretario, si danno ancora troppo tempo: tra abbracci, lacrime, siparietti hanno centrato il bersaglio di conservare per sé scranni e indennità. Perpetuano se stessi, blindati dallo Strabicum e “condannati” a sopravvivere (bene) allo sfascio definitivo del paese.

E se il fallimento di Renzi sulla riforma elettorale fosse solo la cartina di tornasole di altri possibili fallimenti? C’è nella vicenda del compromesso infinito sull’Italicum una profezia di altri compromessi? C’è qui la prova di un divario terrificante fra il dire e il fare? Il giorno in cui gli italiani dovessero accorgersi di avere mal riposto la loro fiducia, di essere stati traditi (in buona o in mala fede) per Renzi si preparerebbero tempi tristi. Più forti e ambiziose le aspettative, più cocente e contundente la delusione. Colpisce che lo stesso super esperto di Matteo per la legge elettorale, il professor D’Alimonte, scriva senza mezzi termini che le modifiche, i passi indietro frutto del negoziato con i partiti e le correnti, hanno prodotto un pasticcio. L’opposto di quello che si voleva: una legge per garantire agli italiani la possibilità di esercitare il diritto di voto. L’abc della democrazia. La promessa resta una promessa. Lo stivale di Renzi affonda ancora nel pantano. Chi avrebbe dovuto aiutarlo a uscire dalla palude lo ha spinto giù nella melma. E il sottile filo celeste all’orizzonte diventa sempre più buio.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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