L'integrazione "imposta" del ministro Kyenge
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L'integrazione "imposta" del ministro Kyenge

Lo "Ius soli" è sacrosanto, ma va spiegato. Questo deve fare il "Ministro degli Italiani"

Cécile Kyenge è la ministra che rivendica di essere nera e non “di colore”. Che parla con nostalgia del proprio senso d’appartenenza a una comunità di una quarantina di fratelli per via del padre poligamo nel Congo natale. Che appena insediata, e indifferente a qualsiasi attenzione politica per la ricerca del consenso, annuncia un disegno di legge sullo Ius Soli (il diritto di terra) in tre settimane. Un ddl all’americana: la cittadinanza legata non al sangue dei genitori, ma al luogo di nascita (di inserimento nella scuola e nel sistema fiscale). Ciascuno di noi genitori, credo, ricorda il momento in cui ha ricevuto in custodia il primo documento d’identità dei propri figli: il codice fiscale. Chi nasce in Italia, frequenta le scuole italiana, acquisisce un dialetto locale, paga i contributi e a tutti gli effetti è integrato, perché mai non dovrebbe essere “anche” cittadino italiano? In fondo lo è già.

Avendo scritto insieme a Giommaria Monti un libro (“Hina, questa è la mia vita”) sulla ragazza pachistana uccisa anni fa dal padre a Brescia, ho studiato sul campo l’attaccamento disperato alla propria “italianità” dei figli nati o arrivati in tenera età in Italia con i genitori immigrati. Sempre in bilico tra quella della propria famiglia di sangue e l’altra, addirittura più intima, nutrita dall’ansia di essere pienamente riconosciuti a scuola e sul lavoro. Hina ha perso la vita per questo. È stata uccisa per questo. Parlava italiano con un forte accento bresciano. Rifiutò il matrimonio combinato e il padre, insieme ai mariti della altre due figlie, la punì con la morte.

È un principio liberale di civiltà far valere lo Ius Soli. Sarebbe anche un aiuto potente all’integrazione. Solo la Svizzera ha norme più stringenti delle nostre riguardo alla cittadinanza (lo spiega bene Gian Antonio Stella sul “Corriere della Sera” di oggi).

Ma, detto questo, tutti i cambiamenti relativi alla cittadinanza devono essere preparati e spiegati. L’integrazione non è univoca, ha due “uscite”. Bisogna rispettare tutte le sensibilità. La storia. Le tradizioni. Il dibattito. Informare. Spiegare. Dissodare il terreno. Non far calare dall’alto. Non annunciare senza preavviso. Non imporre. Non gettare nel tritacarne della politica. Puntare al risultato, non all’effetto.

In questo senso, la ministra Kyenge ha dimenticato un dettaglio che però è fondamentale. È una ministra nera, ma non è “la ministra dei neri”. È la “ministra degli italiani”. Sono tutti i cittadini a doversi convincere che la strada giusta è lo Ius Soli. Qualsiasi ulteriore, sacrosanta integrazione, è destinata a fallire se Cécile Kyenge per prima ricrea il ghetto e trasforma  il suo ministero che dovrebbe essere “di tutti” in improvvisata tribuna dei diritti civili. Una Ong come tante.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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