L’impudenza di questa classe politica
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L’impudenza di questa classe politica

Lo scandalo della gestione dei contributi pubblici versati ai partiti nel Lazio (con il Pdl in prima fila) non fa che consegnare altre armi al partito del nulla

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Ci  risiamo. La Seconda repubblica non riesce proprio a imparare dai suoi  errori, esattamente come succedeva nella Prima. Gli scandali si  susseguono, la casta non rinuncia ai suoi privilegi. Con queste premesse  dovremo pensare alle prossime elezioni, che non saranno tra cinque anni  ma tra pochi mesi. Di sicuro stavolta non mi turerò il naso il giorno  delle elezioni ma chiuderò per bene la porta di casa. Questi partiti non  mi meritano.

Cinzia M., via email

Bisogna ammetterlo: si sono superati. Perché non era affatto facile per la «politica» riuscire a fare di meglio in impopolarità dopo le superbe prove offerte negli anni, nei mesi e nelle settimane scorsi. Lo scandalo della gestione dei contributi pubblici versati ai partiti nel Lazio (con il Pdl in prima fila) non fa che consegnare altre armi al partito del nulla. Troppo facile, infatti, continuare a immettere nel circuito dell’insofferenza slogan tipo «sono tutti uguali», «non cambieranno mai», «sanno solo rubare e sprecare i soldi nostri». È vietato sorprendersi, al netto del quadro delle alleanze e dei candidati tutt’altro che chiaro, se quasi la metà degli elettori dichiara di non volere votare. E d’altronde, davanti all’indigestione di pranzi luculliani della casta pagati con i soldi dei contribuenti, chi può azzardare una difesa?

Quello che davvero sorprende e lascia basiti è come nessuna lezione, recente e meno recente, sia servita. E dire che tutti i partiti hanno dovuto scalare il loro golgota di miserie e vergogna. Centrodestra e centrosinistra: tutti hanno fatto i conti con il malaffare interno. E al tavolo dell’indignazione pubblica, tanto per essere chiari, suscitano uguale disgusto una fornitura di cozze pelose e spigole (siamo in area Pd) o un pranzo a base di ostriche e champagne (tendenza Pdl). Così come, giusto per fare una scappatella dalle parti del Movimento 5 stelle, non si riesce a capire perché alcuni suoi uomini di punta debbano versare soldi pubblici per apparire in televisione: fa ribrezzo esattamente quanto le cenette. Eppure, nonostante tutte le voragini di consenso aperte nel tempo (è ancora da chiarire il caso Lusi con i suoi 25 milioni di euro «distratti»), siamo sempre a raccontare di nuove imprese di piccoli briganti travestiti da politici. È come se, consapevolmente, ci fosse nei partiti tradizionali una falange di fiancheggiatori dei grillini, una quinta colonna che lavora per disintegrare il Paese e consegnarlo all’antipolitica. Siccome non può essere così, c’è solo una via da percorrere: darsi nuove regole di massima trasparenza sull’utilizzo dei soldi pubblici. A tutti i livelli: nazionale e locale. Non c’è bisogno di alcuna bicamerale. I partiti lo facciano autonomamente. In maniera spregiudicata, senza paura di apparire demagoghi. Viceversa saranno travolti proprio dai populisti. Che, a ben vedere, non sono poi così diversi dal diavolo che dipingono.

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Giorgio Mulè