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La presa di Kobane e il dilemma di Ankara

Stretta tra il timore del Pkk e quello dell'Isis, la Turchia frena sulle basi e dice no a un corridoio lungo il confine: ecco perché

Carri armati turchi su un collina poco distante dal villaggio di Mursitpinar ARIS MESSINIS/AFP/Getty Images


Il dilemma della Turchia: tra Pkk e Isis
La Turchia smentisce gli Stati Uniti: Ankara non ha ancora deciso se concedere le basi sul suo territorio, compresa postazione a 130 kmdal confinesiriano,per le operazionicontro i militanti dello Stato islamico in Siriae in Iraq. Avrebbe dato invece la sua disponibilità ad addestrare 4 mila combattenti dell'opposizione siriana per combattere contro l'Isis. Al contempo ha frenato sulla possibilità di aprire un corridoio lungo il confine turco-siriano per far passare uomini e armi adducendo motivazioni che spiegano, meglio di qualsiasi altro esempio, in quale dilemma si dibatta oggi Ankara. «La Turchia non può dare armi e né consentire il ritorno (a Kobane) dei civili (curdi) che chiedono di andare a combattere con gruppi terroristi» - ha detto il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu - laddove «i gruppi terroristi» non sono gli uomini dell'Isis, ma i militanti della resistenza siro-curda a Kobane legati a doppio filo al Pkk, i guerriglieri curdi contro cui Ankara combatte da decenni una guerra sanguinosa. Due passi avanti, uno indietro. 

La presa di Kobane, questione di immagine

La copertina della rivista dell'Isis Dabiq

Per un movimento che si è alimentato finora attorno al mito dell'«invincibilità», che sa fare un uso cinico e disinvolto dei mezzi di comunicazione di massa grazie anche alle «competenze» fornite dagli jihadisti cresciuti in Occidente, la presa di Kobane, la città siro-curda a poche centinaia di metri dal confine turco, è al di là del suo significato militare (che Washington definisce non prioritario) il miglior biglietto da visita per vincere la battaglia decisiva: quella della comunicazione. E che questo sia uno dei campi di battaglia preferiti dai miliziani lo dimostra l'ultima provocazione messa in pagina dalla sua rivista online Dabiq (scaricala qui, ndr): una bandiera dell'Is che sventola sul'obelisco in piazza San Pietro. Ecco spiegato il motivo dei rinforzi in massa inviati dall'Isis per conquistare questa città, che sarà anche - come dice il segretario di Stato Usa John Kerry - «non strategica» militarmente ma lo è diventata da un punto di vista mediatico, non solo in Occidente ma anche tra le masse arabe ancora incerte. 

Alle porte di Baghdad
È impossibile sapere quanto sia realistica la notizia - rilasciata dal Telegraph, che cita un anonimo alto funzionario iracheno - di «10mila jihadisti dell'Is alle porte di Bagdad, pronti a sferrare un attacco alla capitale irachena». Secondo quanto ha rivelato il capo di stato maggiore interforze Usa, generale Martin Dempsey alla Abc, i jihadisti dello Stato islamico hanno nel mirino l'aeroporto di Baghdad. In guerra le informazioni - vere, presunte, false - non sono mai imparziali.  Le incertezze sul terreno ci sono, ma risulta difficile immaginare una presa di Baghdad oggi, senza che Washington e il governo locale muovano un dito. 

Scontri in Turchia tra curdi ed esercito

Ansa
Manifestazioni contro l'Isis nella città turca di Diyarbakir

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