Italiani sequestrati, è epidemia: l'ultimo un carabiniere in Yemen
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Italiani sequestrati, è epidemia: l'ultimo un carabiniere in Yemen

La speranza è sempre che i rapitori siano "semplici" criminali e non militanti di Al Qaeda, e che gli ostaggi non vengano rivenduti.

Sul fronte rapimenti è emergenza continua. L’Italia ha avuto per decenni questo problema, dalla Sardegna all’Aspromonte passando per l’Umbria e la Toscana, con bersagli spesso al Nord. Un problema che ha provocato polemiche infinite sul modo migliore per affrontarlo.

Ricordo il caso del giudice anti-sequestri Luigi Lombardini, spostato ad altro ufficio perché fautore della trattativa, che continuò a occuparsi dei sequestri con indagini e negoziati paralleli. Indagato dal Pool di Palermo, si uccise nel Palazzo di Giustizia di Cagliari con un colpo di pistola alla tempia.

Il fronte interno sembra ormai essersi esaurito, anche se non è stato facile. E bisogna darne atto a chi ha lottato per imporre la legislazione sul blocco dei beni per le famiglie dei sequestrati. Lo stesso problema dobbiamo però fronteggiare oggi con la ripresa dei sequestri di italiani nel mondo, dalla Mauritania allo Yemen. Dall’Africa settentrionale al Vicino Oriente.

Per una cooperante liberata in Mauritania e altri due connazionali che in pochi giorni rientrano a casa dopo una pessima avventura in mano a uomini mascherati in Siria, non si sa se ribelli o governativi, ecco giungere dallo Yemen devastato da una primavera araba incompiuta la notizia che Alessandro Spadotto è stato circondato dopo che in un negozio del quartiere residenziale di Sana’a, la capitale, in abiti borghesi aveva acquistato una nuova scheda telefonica, e trascinato via. Alessandro non è il capo-centro dei servizi italiani in Yemen, è “solo” il responsabile della sicurezza nell’Ambasciata, il capo-scorta dell’Ambasciatore. Ruolo comunque delicato in un Paese a rischio come quello.

Gli italiani globetrotter - turisti, tecnici, professionisti, volontari, militari, diplomatici, giornalisti… - finiscono in trappola con una facilità che fa paura. E non pochi di loro rientrano pieni di elogi per i sequestratori. Sono i "rapiti impegnati", quelli più ideologicamente orientati. Poi ci sono gli altri, quelli che sfidano qualsiasi rischio pur di lavorare o per ragioni di servizio.

Ogni rapimento ha un costo politico ed economico (con o senza riscatto) e non sempre il prezzo (politico e/o economico) che viene pagato è visibile a tutti. E non sempre chi viene liberato dimostra gratitudine per la decisione di sottostare al ricatto.

Nello Yemen, la telefonata con la quale Alessandro ha comunicato di essere stato rapito suggerisce che si trova in mano a un gruppo di criminali locali, forse esponenti tribali a caccia di qualche "prezzo" materiale. Vantaggi economici, posti di lavoro… Il pericolo maggiore se il sequestro non si risolve nei primissimi giorni: il sequestrato potrebbe essere venduto ad altri gruppi legati a frange islamiste nell’orbita di Al Qaeda, e a quel punto tutto diventerebbe più difficile.

Nello Yemen, come in altri Paesi arabi del Medio e Vicino Oriente, la situazione è confusa. Sul campo non c’è una guerra civile conclamata come in Siria. Ma la situazione è tutt’altro che pacifica.

Nei giorni scorsi un manipolo di armati delle tribù legate all’ex presidente Saleh, per 33 anni dominus della scena ionale, aveva dato l’assalto al ministero dell’Interno chiedendo un… Pubblico impiego. Gruppi di criminali affiliati a clan specifici hanno fatto del sequestro di persona una fiorente attività a fini di lucro. In altri casi si chiede la liberazione di compagni o parenti in carcere. Complessa si fa la situazione se c’è un coinvolgimento dei gruppi qaedisti che vedono agire in Yemen sauditi, somali, occidentali di varie etnie e yemeniti stessi.

Il governo, assistito dagli americani, combatte una guerra sotterranea a tratti più evidente con il terrorismo integralista islamico. Poi c’è la lotta per il potere fra le tribù, dopo la rottura del fragile equilibrio garantito dalla dittatura di Saleh. C’è la guerra meno nota condotta dagli sciiti del Nord appoggiati dall’Iran. E c’è, come spesso in queste scacchiere turbolente, un mosaico di rivalità e alleanze fra i servizi segreti di mezzo mondo: sauditi, americani, inglesi, iraniani, etc.

Alessandro si è trovato nel mezzo di questo caravanserraglio, e c’è solo da sperare che non rimanga nelle mani dei rapitori troppo a lungo, non i mesi che un vice-console saudita ha già trascorso in prigionia nonostante che il suo governo abbia liberato quattro donne detenute, come da richiesta dei sequestratori islamici. Soprattutto, c’è da sperare che Alessandro a sua volta non sia “venduto” a gruppi più strutturati, smaliziati e ideologizzati. Ostaggio, a quel punto, di Al Qaeda.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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