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Italia: una Repubblica fondata sulle tasse

Eccovi servita la “questione morale”. Non c’entra la filippica scagliata contro i tangentisti da parte di chi le tangenti le pigliava dall’Unione Sovietica. Non c’entra neppure la gestione allegra dei soldi pubblici ad opera di quei comitati …Leggi tutto

Monti e Napolitano ad un incontro pubblico (Credits: Mauro Scrobogna/Lapresse)

Monti e Napolitano ad un incontro pubblico (Credits: Mauro Scrobogna/Lapresse)

Eccovi servita la “questione morale”. Non c’entra la filippica scagliata contro i tangentisti da parte di chi le tangenti le pigliava dall’Unione Sovietica.

Non c’entra neppure la gestione allegra dei soldi pubblici ad opera di quei comitati d’affari che ancor oggi si fregiano, impropriamente, del nome di “partiti”. Da Tangentopoli a Partitopoli sono trascorsi vent’anni ma ben poco è cambiato. I soldi sono troppi, la trasparenza troppo poca.

Non è questa però la “questione morale” di cui voglio parlarvi. Berlinguer la sventolava come pedigree di una presunta superiorità morale, i fatti lo smentirono.

Oggi la questione morale riguarda il rapporto tra le casse dello Stato e le tasche dei contribuenti. Se abbandoniamo infatti la mistica dello Stato al pari della sua ipostatizzazione, se in altre parole vediamo nello Stato nient’altro che persone che gestiscono la cosa pubblica con il potere (e che potere!) di decidere quanto prelevare dalle tasche altrui, allora alcune domande s’impongono con urgenza.

E’ forse moralmente giustificabile uno Stato che ti toglie quasi la metà di quello che guadagni col tuo lavoro? E’ forse moralmente giustificabile uno Stato che alle imprese – quelle che producono la ricchezza di un Paese – sottrae oltre i due terzi dei profitti?

Si attaglia a una democrazia liberale considerare il cittadino presunto evasore ribaltando su di lui l’onere della prova e ponendo in atto controlli sempre più intrusivi nella sua vita privata, come denunciato apertamente dal Garante della privacy? Si attaglia a una democrazia liberale la decisione di premiare la delazione fiscale purchè “a volto scoperto”, come prevede il decreto di semplificazione fiscale varato dal Parlamento? E poi ancora, in tempi di crisi, come si può pretendere la crescita da un’economia dove lo Stato confisca oltre la metà della ricchezza nazionale per tenere in piedi un mastodontico apparato inevitabilmente caratterizzato da spreco e corruzione?

Se il burocrate pesa più dell’imprenditore o del risparmiatore, non c’è verso di crescere.

Ai livelli attuali di tassazione le imprese è già tanto se non chiudono i battenti. Si pagano i salari sempre più risicati, per investimenti e innovazione neppure le briciole. Se ai tempi di Marx lo Stato deteneva il monopolio della violenza organizzata, oggi esso detiene il monopolio dell’esproprio legalizzato. Ma allora su un piano morale possiamo giustificare il latrocinio di Stato?

Sia chiaro: qui non s’intende filosofeggiare. Chi vuole cimentarsi, faccia pure. Qui la questione che preme è concreta assai.

Il bilancio lo danno le imprese che falliscono e gli imprenditori che si tolgono la vita (già 26 dall’inizio dell’anno secondo la Cgia di Mestre). Vi parrà forse un’esagerazione, un atto estremo come il suicidio ha le sue imperscrutabili ragioni. Eppure ci sono coincidenze che ritornano, lettere inequivocabili di congedo dalla vita. La depressione di chi non riesce più a far quadrare i conti, di chi non sa come arrabattarsi quando lo Stato gli succhia pure il sangue, con l’amara consapevolezza che insieme alla sua ci saranno decine, centinaia di famiglie sul lastrico da un giorno all’altro.

E’ l’esercito degli “esosati”, dei cittadini contribuenti che chiedono allo Stato di aver pietà di loro. Basterebbe qualche taglio vero – non mero maquillage – per stare tutti meglio. Dagli enti inutili, province incluse, alle innumerevoli agenzie statali di cui neppure gli onniscienti tecnici ricordano il nome. Basterebbe dismettere una parte dell’immenso patrimonio immobiliare pubblico e introdurre finalmente un principio di sana concorrenza nell’agone politico: i partiti si autofinanziano e lo Stato interviene esclusivamente per agevolare le attività di propaganda (spese postali, sedi e simili).

“Pagare tutti, pagare meno” è una menzogna. E’ vero invece che una tassazione più sostenibile incentiva l’obbedienza fiscale. Per il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chi non paga le tasse è indegno della cittadinanza. A pensarci bene ha ragione lui. Nella Repubblica fondata sulle tasse non pagarle significa collocarsi al di fuori del consorzio civile. E’ una scelta di campo. Prima però, Presidente, cambiamo la Costituzione. Mettiamolo nero su bianco. Siamo l’ultimo baluardo di socialismo reale in Occidente.

“L’Italia è una Repubblica fondata sulle tasse, dove di tasse si muore”.

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Annalisa Chirico

Annalisa Chirico è nata nel 1986. Scrive per Panorama e cura il blog Politicamente scorretta. Ha scritto per le pagine politiche de "Il Giornale". Ha pubblicato "Segreto di Stato – Il caso Nicolò Pollari" (Mondadori, pref. Edward Luttwak, 2013) e "Condannati Preventivi" (Rubbettino, pref. Vittorio Feltri, 2012), pamphlet denuncia contro l’abuso della carcerazione preventiva in Italia. E' dottoranda in Political Theory a alla Luiss Guido Carli di Roma, dove ha conseguito un master in European Studies. Negli ultimi anni si è dedicata, anche per mezzo della scrittura, alla battaglia per una giustizia giusta, contro gli eccessi del sistema carcerario, a favore di un femminismo libertario e moderno.

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