Israele-Palestina, è l’ora del negoziatore Marwan Barghouti
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Israele-Palestina, è l’ora del negoziatore Marwan Barghouti

Il negoziatore di Fatah, in carcere da dodici anni, è l’unico personaggio di spicco capace di mediare una pace duratura e persino di vincere le elezioni a Gaza - Lo speciale

di Alfredo Mantici (per Lookout News )

La Terza Guerra di Gaza avrà come conseguenze quelle nulle delle precedenti se non provocherà l’apertura di un dialogo politico tra tutti i protagonisti della scena mediorientale: non soltanto Hamas, Fatah e Israele ma anche Egitto, Iran, Arabia Saudita.

In assenza di un dialogo politico, la guerra sarà stata soltanto fine a se stessa, una insensata contrapposizione militare asimmetrica con vittime, rovine e strascichi emotivi che ne favoriranno altre e altre ancora. 

Se la guerra, come diceva Von Clausewitz, è “la prosecuzione della politica con altri mezzi”, la sua conclusione deve far tornare la politica in primo piano. Israele è nella regione militarmente invincibile e per risolvere il problema di Gaza deve trovare il modo di riconsegnarne il controllo all’Autorità Nazionale Palestinese, uscita ridimensionata dalla vittoria di Hamas alle elezioni del 2006. Tel Aviv deve trovare il modo di far tornare l’ANP in campo nel negoziato. Il dialogo politico tra il governo israeliano da una parte e Hamas, i jihadisti palestinesi e i salafiti di Gaza dall’altra è impossibile. 

Questi ultimi considerano Israele una “aberrazione teologica”, una “entità sionista che va soltanto eliminata”. Non riuscendo ad abbattere militarmente Israele, prediligono una guerra di attrito di lunga durata, paragonabile a quella che consentì di espellere i cristiani dalla Terra Santa. Molti esponenti di Hamas sostengono che “ci sono voluti due secoli per cacciare i crociati dalla Palestina… con gli ebrei siamo in lotta soltanto da sessant’anni…”. 

Su queste basi è impossibile costruire una piattaforma negoziale e l’unico modo che ha Israele per tentare un percorso di pace è quello di cercare dall’altra parte degli interlocutori credibili e affidabili.   

- Il negoziatore di Fatah, Marwan Barghouti

Un personaggio di primo piano a disposizione degli israeliani ci sarebbe, se soltanto avessero la lucidità e il pragmatismo per farlo scendere in campo. Si tratta di Marwan Barghouti, esponente di primo piano dell’ala militare di Fatah che, gravato da ben cinque ergastoli, si trova da dodici anni nelle prigioni israeliane. 

Barghouti ha sempre negato di avere le mani sporche di sangue, ma è innegabile che sia stato responsabile come comandante militare di violenze e di attentati durante la seconda intifada. Un sondaggio condotto nello scorso mese di aprile nella West Bank e nella Striscia di Gaza ha evidenziato che se Barghouti potesse partecipare alle elezioni presidenziali palestinesi, vincerebbe con una stragrande maggioranza anche a Gaza, togliendola dal controllo di Hamas. 

Israele si rifiuta ostinatamente di liberarlo, anche se nei ricorrenti scambi di prigionieri con i palestinesi ha già rimesso in libertà centinaia di assassini. Il perché di questa ostinazione è un mistero. Se Barghouti avesse potuto partecipare alle elezioni del 2006, il suo partito a Gaza avrebbe stravinto e Hamas non avrebbe conquistato il controllo della Striscia. 

- Da terroristi a padri della patria, l’esempio irlandese

È vero che la storia non si fa con i se, ma potrebbe essere utile fare tesoro di alcune esperienze del passato. Guardiamo alla storia proprio di Israele: Menachem Begin durante la guerra di indipendenza comandava una sanguinaria organizzazione terroristica, l’Irgun Zvai Leumi. Tra le sue imprese va ricordato l’attentato che nel luglio del 1946 distrusse a Gerusalemme il King David Hotel, uccidendo 91 persone. Come spesso accade, da terrorista a padre della patria il passo è stato breve. Diventato primo ministro, Begin ha avuto il coraggio di sedersi al tavolo dei negoziati di Camp David nel 1978, e di firmare il trattato di pace con l’Egitto, guadagnandosi addirittura il premio Nobel per la Pace. 

Andando indietro nel tempo, in circostanze molto simili a quelle che vedono contrapposti israeliani e palestinesi, troviamo in Irlanda l’esempio di Michael Collins. Come capo del servizio segreto dell’esercito repubblicano irlandese, Collins è stato la mente di sanguinosi attentati contro gli inglesi, culminati nel “Bloody Sunday” del novembre 1921, ovvero l’omicidio a sangue freddo di 13 funzionari dell’intelligence di Londra. Nonostante questo background, Michael Collins sedette al tavolo delle trattative che portarono all’avvio della pacificazione tra Londra e Dublino.   

Sempre restando in Irlanda, oggi a Belfast occupa la poltrona di vice primo ministro Martin McGuinness, già comandante della brigata di Londonderry dell’IRA (Irish Republican Army) e artefice della strategia delle bombe che ha contribuito alla ritirata dell’esercito inglese dall’Ulster. 

McGuiness, nonostante il suo passato, è stato il protagonista degli accordi del Venerdì Santo che nel 1998 hanno portato alla pacificazione nell’Irlanda del Nord.  

- Conclusioni

Insomma, la storia ci insegna che esponenti di gruppi che non hanno esitato a sporcarsi le mani con il terrorismo sono stati anche protagonisti di grandi risultati politici e di pacificazione. 

Barghouti ha un identikit che corrisponde perfettamente a quelli di Begin, di Collins e di MaGuiness. Se Israele lo capisse e lo rimettesse in campo forse alla Terza Guerra di Gaza non ne seguirebbero altre. 

Certo, ci vuole una buona dose di coraggio e di pragmatismo, ma nei momenti critici gli israeliani hanno sempre dimostrato di averne. La carta Barghouti, se giocata bene, potrebbe riaprire i giochi politici in Palestina e creare le condizioni per una situazione che potrebbe richiamare l’analisi di Winston Churchill dopo El Alamein: “Non siamo ancora all’inizio della fine, ma siamo almeno alla fine dell’inizio”. 

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