Stato islamico: la versione dei Paesi arabi
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Stato islamico: la versione dei Paesi arabi

In un incontro al Parlamento francese i rappresentanti del mondo musulmano chiedono una "cucina araba" per condurre la guerra contro l'Isis

Tolleranza zero contro il terrorismo. A più di un mese dalla strage di Charlie Hebdo e con la Libia in fiamme,la Francia non scherza più e decide di affrontare a muso duro la minaccia dello Stato islamico proveniente dall'esterno e quella fatta in casa e costituita dai potenziali foreign fighters. Lo si era capito sin dalla scorsa settimana, quando il Parlamento francese ha aperto le porte a un incontro con i rappresentanti del mondo arabo per discutere a tutto tondo e senza peli sulla lingua di terrorismo e minacce alle fondamentali libertà occidentali.

Una tavola rotonda organizzata da Apema(Associazione della stampa europea per il mondo arabo) e Ipse (Istituto per la prospettiva europea e la sicurezza), che ha visto la presenza di Philippe Folliot, deputato e segretario della Commissione per la Difesa nazionale. Foillot si è confrontato con Mohammed Dahlan, ex ministro per la Sicurezza dell'Autorità palestinese e oggi consigliere per la Sicurezza del principe ereditario di Abu Dhabi, nonché uomo molto vicino al presidente egiziano Al Sisi. Al centro del dibattito la lotta a Daesh, parola araba che indica lo Stato islamico e che agli uomini del Califfo Al Baghdadi è invisa a tal punto da punire con le frustate chi la pronuncia nei territori da loro controllati.

E dall'incontro di Parigi emerge un dato inequivocabile: la partita anti-Daesh non può essere giocata senza un rafforzamento della collaborazione con i Paesi arabi che si oppongono al Califfato, dall'Egitto in prima linea, passando per la Giordania, gli Emirati Arabi e l'Arabia Saudita. Secondo Mohammed Dahlan l'emergenza Isis da una parte sancisce definitivamente la fine del modello dell'Akp turco, ossia dell'idea che un Paese guidato da un partito dichiaratamente islamico possa essere democratico, e - in secondo luogo - mette sotto i riflettori l'Italia che ha un ruolo centrale nella lotta al terrorismo, anche (e forse soprattutto) per la sua posizione geografica. 

Sul palcoscenisco della guerra a Daesh, Dahlan sottolinea la presenza e il ruolo centrale di nuovi "protagonisti" sul palcoscenico internazionale. Non si tratta più solo dell'Occidente contro il terrore, ma dei Paesi occidentali (Europa, Stati Uniti e Russia) insieme alla Lega Araba e alla Cooperazione islamica per battere la nuova minaccia che sta balcanizzando il Medio Oriente. 

E nel mirino dei Paesi arabi anti-Isis da una parte ci sono la Turchia di Erdogan e il Qatar, accusati di supportare in modo diretto e indiretto il terrorismo del Califfato, e dall'altra i Fratelli Musulmani, visti come il principale pericolo per la sicurezza europea, dal momento che la Fratellanza ha ramificazioni (più o meno occulte) in tutto il mondo e gestisce associazioni e fondazioni culturali, attraverso le quali è facile far veicolare informazioni che siano d'aiuto alla "guerra santa" combattuta dagli uomini di Daesh.  Il livore nei confronti dei Fratelli Musulmani esplode a Parigi nelle parole di un membro del gruppo di amicizia franco-egiziano, che si chiede "quando l'Europa riconoscerà che i Fratelli Musulmani sono terroristi".

Parole forti, che fanno chiaramente comprendere la spaccatura all'interno del mondo arabo e musulmano, diviso tra correnti secolariste e non. In questi mondi che si fanno la guerra all'interno dello stesso universo islamico, il ruolo dell'Egitto di Al Sisi viene ritenuto fondamentale dagli arabi anti-Califfato. Secondo l'opinione di Mohammed Dahlan e di Philippe Foillot, il popolo egiziano ha fatto due rivoluzioni, la prima per mandare via Mubarak e la seconda per mandare via Morsi, il presidente espressione dei Fratelli Musulmani.

E l'Europa dove sta? Assente ingiustificata, nonostante gli sforzi. E' Georges Estievenart. ex direttore dell'OEDT (Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze e responsabile del gruppo Europa dell'Ipse) a sottolineare che nonostante la buona volontà e l'unità contro il terrorismo, l'Europa stenta a rafforzare la cooperazione nel campo della sicurezza e questo perché la risposta al terrorismo "necessita di una gestione centralizzata a livello europeo", mentre l'Ue si trova "immersa in molte contraddizioni". Tradotto: l'Europa è al momento priva di un cuore politico centrale, fondamentale per organizzare la lotta al terrore. 

La versione dei Paesi arabi contro l'Isis è chiara: l'Europa e gli Stati Uniti devono cambiare la propria strategia per battere il terrorismo e rafforzare la cooperazione con i paesi islamici, che non sono dei lacchè dell'Occidente, ma in questa nuova fase della guerra al terrore hanno assunto il ruolo di protagonisti. E la Francia ha prontamente risposto, inviando la portaerei Charles De Gaulle nel Golfo Persico a supporto delle operazioni della coalizione anti-Daesh in Iraq. D'altronde - come ha sottolineato Philippe Foillot, bisogna sdoganarsi dalla "politica delle emozioni", basata su scelte del momento legate ad avvenimenti che inevitabilmente scuotono l'opinione pubblica, e fare passi ponderati e coerenti, seguendo una strategia ben precisa per arrivare a un obiettivo finale comune. 

Insomma, Daesh non è Al Qaeda e non può essere combattuta come se fosse la stessa organizzazione. Ci vogliono mezzi e alleanze diverse, tenendo presente che tutti i Paesi della regione affrontano gli stessi rischi e al livello di caos in cui ci troviamo è impossibile continuare senza conseguenze. "E' imperativo - si legge sul Jordan Times - avere una visione chiara e realistica per lottare contro i terroristi e farli pagare per i loro crimini, così da porre fine ai loro tentativi di far esplodere crisi politiche in tutta la regione". E, allo stesso tempo, è importante avere "una cucina araba" per gestire la crisi in base a una strategia regionale. La guerra all'Isis non è solo di natura militare, ma anche di natura culturale e sociale, scrive. E' la prima volta che i Paesi arabi rivendicano una strategia comune e chiedono supporto "esterno" a Stati Uniti ed Europa. La Francia l'ha capito e non è rimasta a guardare. 

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Anna Mazzone