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Isis: il genocidio cristiano e l'ipocrisia americana

Per Washington la persecuzione dei cristiani in Siria e Iraq non si configura come una guerra di annientamento. Perché questa arrampicata sugli specchi?

Per Lookout news

Nel Press Briefing del 29 febbraio scorso il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, alla domanda dei giornalisti se l’ISIS stia conducendo un genocidio contro i cristiani nei territori occupati in Medio Oriente, ha fornito una risposta che non può non far riflettere.

 Incespicando, Earnest ha detto che “noi (gli USA, ndr) abbiamo da tempo espresso le nostre preoccupazioni per la tendenza – be’, non una tendenza – la tattica impiegata dall’ISIS di massacrare minoranze religiose in Siria e Iraq”, specificando però che l’uso del termine genocidio comporta una determinazione legale molto specifica che al momento non è ancora stata raggiunta.

Cristiani in fuga dall'Iraq, nel mirino di Isis

Un’affermazione a dir poco strana per un Paese che ha fatto del mancato rispetto dei diritti umani una base di appello internazionale per condurre più di una guerra. Quel “noi” usato da Earnest significa che negli Stati Uniti non è stata raggiunta la determinazione legale per poter parlare di genocidio in riferimento alle persecuzioni perpetrate da ISIS. Ma si dà il caso che questa determinazione sia stata raggiunta dalle Nazioni Unite, di cui gli USA fanno parte, con una Convenzione del lontano 1948.

Le Convenzioni dell’ONU in materia di genocidio
Le Convenzioni stipulate dall’ONU, è bene ricordarlo, sono fonti del diritto internazionale, e producono quindi quella piena determinazione legale che Earnest ha negato sia stata raggiunta. Nello specifico, l’articolo 2 della Convenzione in riferimento alla prevenzione e alla punizione del crimine di genocidio si esprime in questi termini:

 Ognuno dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso

 - Uccidere membri del gruppo;

- Causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo;

- Deliberatamente infliggere al gruppo, in tutto o in parte, condizioni di vita che portano alla distruzione fisica;

- Trasferire forzatamente bambini del gruppo;

- Imporre misure tese a bloccare le nascite nel gruppo.

 Non sappiamo se l’ISIS abbia teso a bloccare le nascite tra le minoranze religiose in Siria e Iraq cadute sotto la sua occupazione. Sappiamo che ha abbondantemente compiuto tutti gli altri atti indicati dall’ONU come genocidio nei territori controllati, nelle azioni di guerra contro villaggi e città, e in quelle di rappresaglia sulla popolazione civile, compreso il trasferimento forzato di bambini per educarli alla Sharia wahabita e il rapimento di ragazze per farne delle schiave dei jihadisti.

I precedenti di Libia e Siria
Gli USA dunque non avrebbero ancora riscontrato le condizioni per poter attaccare ISIS in quanto colpevole di genocidio contro i cristiani. Eppure hanno avviato l’attacco alla Libia sulla notizia, mai verificata, che Gheddafi stava usando l’aviazione contro la popolazione in rivolta, e la guerra in Siria perché Assad era un feroce dittatore che stava reprimendo con la forza le aspirazioni di democrazia del popolo. Sicuramente per i parametri occidentali, sia Gheddafi che Assad rientrano nella definizione di “dittatore”, anche se questa è comunque una definizione più politica che formale. Assad ad esempio, è bene non dimenticarlo, era stato nominato Cavaliere dell’Ordine di Gran Merito della Repubblica Italiana, la nostra più alta onorificenza, nel 2010. Nemmeno un anno dopo è stato però bollato come dittatore. Così Gheddafi, poco prima che cadesse, era in ottimi rapporti con il primo ministro britannico Tony Blair, e non solo.

 Diamo per scontato che sia Gheddafi che Assad rientrino nella categoria dei governanti autoritari, più inclini dei governanti delle democrazie occidentali a usare mezzi illegittimi per stroncare l’opposizione. Ciò non toglie che ne l’uno né l’altro abbiano commesso atti della categoria del genocidio. A differenza di Saddam Hussein, che aveva invece sterminato con il gas i curdi iracheni.

La Siria laica di Assad, pur governata da una minoranza privilegiata (il clan sciita alawita della famiglia del presidente), è sempre stato un Paese che ha mantenuto la millenaria convivenza nella miriade di etnie e gruppi religiosi tipica di quel crogiuolo della nostra civiltà: sunniti, sciiti, alawiti, cristiani, armeni, siriaci, drusi, etc. Lo stesso non si può dire dell’Arabia Saudita, alleata della coalizione internazionale a guida USA contro ISIS, intervenuta nei mesi scorsi con carri blindati per reprimere nel sangue le proteste sciite in Bahrein.

 

La versione poco convincente degli USA
Adesso gli USA, dopo aver lasciato mano libera per troppo tempo a Turchia e Arabia Saudita nei rapporti con ISIS, pur essendo in guerra con lo Stato Islamico non vogliono dichiarare che sta commettendo un genocidio contro i cristiani. E lasciano al portavoce della Casa Bianca Earnest l’incombenza di arrampicarsi sugli specchi della determinazione legale del termine, dimenticandosi delle Convenzioni dell’ONU in materia.

 Per di più questa negazione contrasta apertamente con i ripetuti appelli di Papa Francesco per fermare lo sterminio dei cristiani in Medio Oriente. Un impegno che lo ha portato addirittura a superare la secolare spaccatura con la Chiesa Ortodossa russa, per un ritrovato affratellamento cui scopo non secondario è proprio il comune sforzo per la salvaguardia dei cristiani ortodossi del Medio Oriente.

 Perché quindi gli USA negano l’evidenza? Difficile a dirsi. Forse perché gli si potrebbe sempre rinfacciare di essere stati collusi con lo Stato Islamico. E tra due mali è minore essere stati collusi con dei terroristi piuttosto che con dei colpevoli di genocidio. Una spiegazione che però convince davvero poco, come le risposte claudicanti di Josh Earnest.

Cristiani in fuga dall'Isis

Matt Cardy/Getty Images
Cristiani in fuga dall'Isis, Erbil, Iraq, 13 dicembre 2014

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