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Iraq, perché l'Isis sopravviverà dopo Falluja

La liberazione della città è stata completata. Ma a Mosul e in altre aree del Paese lo stato islamico continuerà a colpire

Per Lookout news

Dopo due anni e mezzo Falluja è caduta. L'ennesima battaglia per liberarla è finita. La città, un tempo irriducibile roccaforte sunnita e spina nel fianco delle forze Usa, è stata "completamente liberata" dalla morsa del Daesh, l'Isis, che l'aveva messa sotto il suo tallone sin dal gennaio del 2014. Ad annunciarlo, in maniera trionfale alla tv irachena, è stato il generale Abdul-Wahab al-Saadi, capo delle forze antiterrorismo dell'operazione militare iniziata oltre un mese fa. E il premier Haidar al Abadi è andato di persona a rendere onore al merito, proprio a Falluja. "Dal centro del quartiere al Julan, ci congratuliamo col popolo iracheno e con il Comandante in capo", ha detto il generale, attorniato da alcuni ufficiali, mentre diversi soldati sparavano raffiche di mitra in aria, in segno di giubilo. (Ansa)

 

Il prossimo obiettivo è adesso Mosul, proclamata capitale del Califfato in Iraq nel giugno del 2014. Il ministro della Difesa iracheno, Khaled al-Obeidi, nel fare il punto delle operazioni in corso per liberare il governatorato di Ninive, ha spiegato che per la ripresa di Mosul sarà necessario entrare prima a Qayyarah. Situata circa 60 chilometri a sud rispetto a Mosul, Qayyarah ha infatti un aeroporto da dove potranno decollare i caccia americani per effettuare bombardamenti aerei contro le postazioni jihadiste. Inoltre, Qayyarah si trova lungo la sponda del fiume Tigri di fronte a una delle basi principali delle forze curde nella zona di Makhmur. Il suo controllo permetterebbe quindi di compattare il fronte governativo.

 

Nella scala delle priorità dell’esercito americano questa operazione avrebbe dovuto precedere la battaglia di Falluja. Ma Al Abadi ha deciso di fare diversamente, concentrando nel governatorato di Anbar nelle ultime quattro settimane le forze regolari e le milizie sciite della Forza di Mobilitazione Popolare, in modo da mettere al sicuro da possibili attacchi jihadisti la capitale Baghdad che da Falluja dista solo 70 chilometri.

 Sarà la caldissima estate irachena a dire se Al Abadi avrà avuto ragione. Ciò che è certo è che le sue promesse vanno prese con le dovute cautele. Il premier ha detto che entro la fine del 2016 la minaccia di ISIS sarà definitivamente estirpata da tutto l’Iraq. Ma l’avanzata avviata a Ninive in direzione di Mosul ha prodotto finora risultati modesti rispetto alle aspettative, e nella stessa Falluja, la cui sorte appare ormai segnata, ISIS può ancora infliggere delle perdite all’esercito iracheno. Vale in tal senso il precedente di Ramadi, la cui liberazione è stata annunciata nel dicembre del 2015 ma che, di fatto, è tornata sotto il pieno controllo delle forze irachene solo nel febbraio successivo.

 

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(La situazione a Falluja, grafico The Guardian)

 

L’emergenza umanitaria
Soprattutto nell’ultima settimana a Falluja centinaia di miliziani jihadisti hanno tentato di scappare e alcuni di loro avrebbero provato a mischiarsi nella marea dei civili in fuga. Come detto, molti dei soldati del Califfato continuano però a resistere nei quartieri settentrionali della città dove a condurre i rastrellamenti sono le forze speciali dell’esercito iracheno. A sud, invece, dove l’area è presidiata dalla polizia provinciale di Anbar, la situazione è sotto il controllo pressoché totale delle forze governative.


È da verificare, invece, una notizia battuta dall’agenzia Amaq, vicina a ISIS, che ha riferito dell’uccisione di circa 50 soldati iracheni e della distruzione di quattro veicoli militari nel nord-est di Falluja nei pressi di un ospedale. Non si hanno notizie, infine, delle milizie sciite che operano nell’area. Ma è assai probabile che, all’ombra della guerra allo Stato Islamico, gli sciiti stiano portando avanti una violenta resa dei conti nei confronti di centinaia di sunniti accusati di aver collaborato in questi anni con ISIS.

 

Intanto, nella fuga disperata da Falluja si sta consumando la temuta catastrofe umanitaria. Secondo il Consiglio norvegese per i rifugiati solo nella giornata di venerdì 17 giugno, dunque nel giorno dell’annuncio della liberazione della città, fino a 20.000 persone sono riuscite a mettersi in salvo e altri 25.000 civili stanno provando a farlo in queste ore. Oltre le persone uccise nel tentativo di attraversare a nuoto il fiume Eufrate, c’è il rischio che altre centinaia – soprattutto donne in stato di gravidanza, bambini, anziani e disabili – possano essere utilizzati da ISIS come scudi umani nella difesa dei quartieri settentrionali.

 

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Le richieste di soccorso rischiano però di non trovare delle risposte adeguate da parte del governo iracheno, che deve già far fronte a 3,4 milioni di sfollati nel resto del Paese. Da parte della società civile di Baghdad, in particolare, potrebbe esserci resistenza a dare ospitalità agli abitanti di Falluja. La città è infatti considerata il baluardo della militanza sunnita dai tempi dell’invasione americana, e i suoi residenti in fuga potrebbero rappresentare una minaccia per la stessa incolumità della capitale.

 Altre problematiche si presenteranno nel momento in cui si dovrà ristabilire una parvenza di ritorno alla normalità a Falluja, dopo i combattimenti. Ramadi e Sinjar, rase al suolo al termine delle battaglia contro ISIS, non inducono a pensare a nulla di buono. Nel presente dell’Iraq c’è però Mosul. Rispetto a Falluja questa città è molto più grande, è il cuore del Califfato in Iraq e pertanto nasconderà molte più insidie. La storia di ISIS in Iraq non è affatto finita. E il volenteroso Al Abadi, per quanto provi a trasmettere un’immagine diversa di questa guerra, dovrà farsene una ragione.

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HAIDAR MOHAMMED ALI/AFP/Getty Images
Il comandante Hadi al-Ameri, leader di una formazione paramilitare irachena, dopo la conquista di Falluja, 26 giugno 2016

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Rocco Bellantone