Accordo con l'Iran: tanti ostacoli per Obama
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Accordo con l'Iran: tanti ostacoli per Obama

Giornata chiave a Losanna per arrivare a un'intesa sul programma nucleare, ma il presidente Usa deve fare i conti non solo con l'ostilità del Congresso

Non sono solo la scarsa flessibilità del governo di Teheran e l'ostile diffidenza del Congresso americano a porre ostacoli al presidente Obama sulla strada per un accordo riguardo il futuro del programma nucleare iraniano. Anche diversi alleati storici degli Stati Uniti nell'area mediorientale stanno infatti facendo di tutto per mettersi di traverso e far fallire i negoziati che vedono impegnato a Losanna il segretario di Stato Usa John Kerry con il collega iraniano Mohammad Javad Zarif.

Il "no" di Israele contro il "sì" dell'economia
A guidare la fila dei Paesi contrari all'accordo c'è ovviamente Israele, il cui premier Netanyahu - dopo aver pronunciato di persona un discorso contro l'intesa proprio nella sede del Congresso, facendo infuriare Obama - ha rincarato la dose nelle ultime ore affermando ai media: "L'accordo che si profila a Losanna invia un messaggio secondo il quale non solo l'Iran non pagherà il prezzo della sua aggressività, ma al contrario ne sarà ricompensato". Parole arrivate dopo che il leader israeliano ha spedito il suo ministro dell'Intelligence Yuval Steinitz in Francia, considerato il più rigido tra i Paesi del gruppo dei "5+1", con l'obiettivo appunto di influenzare pure quel fronte, anche se in linea di massima Gran Bretagna, Cina, Russia e Germania sembrano però voler trovare un accordo anche per motivi economici. Finalità, quest'ultima, condivisa nel blocco occidentale anche dall'Italia: ""Con la cancellazione o la riduzione delle sanzioni contro l'Iran, i nostri affari, ma anche quelli tedeschi e britannici, correranno alla velocità più alta possibile", ha affermato al proposito il nostro ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.

Le preoccupazioni (anche petrolifere) di Riad
Motivi economici che invece influenzano all'opposto l'Arabia Saudita: l'Iran dispone infatti della quarta riserva petrolifera al mondo e un accordo potrebbe portare un fiume di greggio iraniano sul mercato, dopo che dallo scorso giugno i prezzi sono già calati di oltre il 50 per cento. Con il dissenso di Riad che aumenta proporzionalmente alla crescente influenza dell'Iran in quella sempre politicamente e militarmente calda regione che spazia dall'Iraq alla Siria, dal Libano fino allo Yemen: non a caso l'Arabia Saudita ha deciso di scendere in campo alla guida di una forza araba contro i ribelli sciiti sostenuti da Teheran proprio in piene trattative. Infine, l'accresciuta importanza dell'Iran disturba notevolmente anche la Turchia, come ha chiaramente sottolineato il suo presidente Erdogan sostenendo che si tratta di una cosa "che non può essere tollerata".

Le mosse del Congresso
In questo quadro di certo scarsamente omogeneo, l'amministrazione Obama sta cercando di far fronte a tutti. A cominciare dal Congresso, dove i repubblicani accusano Obama di pensare solo all'eredità della sua presidenza a discapito della sicurezza nazionale e in cui uno schieramento bipartisan ha elaborato due disegni di legge per poter avere la parola finale. Uno darebbe al Congresso il potere di approvare, emendare o respingere l'eventuale accordo; l'altro imporrebbe immediate e stringenti sanzioni all'Iran in caso di fallimento dei colloqui. Al proposito il presidente americano ha già minacciato il veto, ma ha lasciato trapelare la disponibilità a sostenere una terza via, che richiederebbe all'amministrazione di certificare che l'Iran stia rispettando le intese e in caso contrario imporre sanzioni. La partita è insomma ancora aperta. E il primo a giocarla sul tavolo di Losanna e il segretario John Kerry, il cui lavoro è andato avanti tutta la notte con la previsione fatta dallo stesso segretario di Stato alla Cnn di andare avanti anche per tutta la giornata odierna.

Il giornalista in fuga
Intanto, un giornalista iraniano inviato a Losanna per seguire i negoziati sul nucleare ha chiesto asilo politico alla Svizzera: lo ha confermato il ministero degli Esteri di Teheran dopo che la notizia era trapelata sui media elvetici. Amir Hossein Motaghi lavorava per Iscanews, un portale riformista gestito dall'Università di Asad, che il 24 marzo lo ha licenziato dopo aver appunto appreso che aveva chiesto asilo. Motaghi era arrivato accompagnato da un fotografo e avrebbe presentato subito la sua richiesta, lamentando la mancanza di libertà per i giornalisti nella repubblica islamica.

Il caso potrebbe creare qualche imbarazzo al presidente riformista iraniano Hassan Rohani, di cui Motaghi era stato un collaboratore per i rapporti con la stampa nella campagna elettorale del 2013. Tra l'altro il giovane ha postato su Instagram la foto di Jason Rezaian, il corrispondente del Washington Post in carcere dal luglio scorso in Iran insieme alla moglie, esprimendo l'auspicio che vengano rilasciati presto.

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