Con Rohuani la guerra all'Iran si allontana, ma non c'è svolta
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Con Rohuani la guerra all'Iran si allontana, ma non c'è svolta

Per Pejman Abdolmohammadi, docente di Storia e istituzioni dei paesi islamici all'università di Genova, il nuovo presidente aprirà le porte della diplomazia, ma senza cambiamenti

Via Ahmadinejad e viva Rouhani . Le elezioni presidenziali nella Repubblica islamica iraniana hanno consegnato lo scettro al moderato Hassan Rouhani, che nella sua prima conferenza stampa da neo presidente ha promesso "trasparenza" sul programma nucleare, strizzando l'occhio sia a Londra che a Washington. Il nuovo presidente dell'Iran è stato eletto con 18 milioni di voti e promette di rappresentare una svolta per lo Stato persiano. Ma sarà realmente così? Panorama.it lo ha chiesto a Pejman Abdolmohammadi, docente di Storia e Istituzioni dei Paesi islamici all'università degli Studi di Genova.

Il problema dell'Iran era Mahmud Ahmadinejad e adesso quell'ostacolo è stato rimosso con l'elezione del moderato Rouhani?

Quello iraninano è un sistema complesso, ibrido come la gelatina. Esistono diversi centri di potere che decidono in sintesi la linea politica della Repubblica islamica. Con i pasdaran e Ahmadinejad la linea era di chiusura totale, radicale nei confronti dell'esterno. Ma adesso, con Hassan Rouhani la linea sembra essere cambiata e si va verso un'apertura. Tuttavia, ritengo che Rouhani non sia né un riformista né un moderato, ma è un conservatore dialogante. A mio avviso Rouhani è l'uomo del sistema che cercherà di aprire verso l'Occidente, ma non potrà, e forse non vorrà aprire verso la società civile. In altri termini, secondo me, Rouhani è la scelta razionale della Repubblica islamica per poter superare questo momento di crisi esterna e interna, ma di certo non è la svolta verso il cambiamento a cui la maggior parte degli iraniani, in particolare i giovani, composti principalmente da riformisti e laici, aspirano.

Dopo le manifestazioni represse nel sangue dell'Onda Verde, Rouhani è stato eletto con più del 50 per cento dei voti. 18 milioni di persone hanno scelto la strada della moderazione. E' così?

Va detto che gli iraniani hanno potuto votare scegliendo solo tra sei candidati preselezionati. L'unico candidato che ha espresso critiche al sistema è stato Rouhani, e per questo in tanti lo hanno votato, perché era l'unico modo per esprimere un dissenso, una critica a quello che sta succedendo in Iran, dove la maggior parte della popolazione, dai ceti alti a quelli medio bassi, è vessata dalle sanzioni e dalla grave crisi economica. A questo punto Teheran è praticamente costretta ad aprirsi, anche perché la situazione geostrategica dell'area è profondamente mutata rispetto a qualche mese fa. C'è la Siria in ebollizione e c'é Hamas che cerca sponda in Egitto. 

Insomma, Teheran potrebbe tendere la mano a Washington?

Certo. Hassan Rouhani non è solo un personaggio politico, ma per venti anni ha gestito la sicurezza nazionale della Repubblica islamica. E' un fine diplomatico, che gode di buoni rapporti in circoli londinesi, come quelli che fanno capo a Jack Straw, ex uomo di punta del Gabinetto laburista tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del 2000. Questi circoli laburisti hanno sempre avuto un rapporto privilegiato con pezzi del clero sciita. E Rouhani ha ottimi contatti nel Regno Unito e conosce molto bene gli ambienti militari e l'intelligence. Suppongo che farà una scelta razionale. Da abilissimo diplomatico quale è potrebbe riuscire ad aprire quelle porte che finora i conservatori hanno tenuto sbarrate. 

La guerra all'Iran quindi potrebbe allontanarsi?

Credo proprio di sì. Hassan Rouhani vuole evitare il conflitto armato e allo stesso tempo desidera evitare che i "diseredati" iraniani, quelli che fanno parte dei ceti medio-bassi e che hanno maggiormente accusato i colpi della crisi economica e delle sanzioni, scendano in piazza. Non è un caso che durante la sua prima conferenza pubblica abbia sottolineato che manterrà le promesse fatte in campagna elettorale e ha ringraziato per i complimenti, aggiungendo però che gradirà riceverli solo quando riuscirà a tenere sotto controllo l'inflazione e a far ripartire l'economia della Repubblica islamica.

Durante la stessa conferenza stampa ha anche parlato di "trasparenza" sul programma nucleare iraniano. Cosa intendeva in concreto?

La diplomazia iraniana è come quella Vaticana: dice tutto e non dice niente. Più che di cose concrete Rouhani ha parlato per lanciare un segnale a Washington e a Londra. Un segnale di apertura al quale sia gli Usa che il Regno Unito sembrano aver risposto positivamente. D'altronde, le sanzioni economiche a Teheran stanno avvantaggiando Pechino, e questo Washington lo sa molto bene. Rouhani è stato l'unico durante la campagna elettorale a criticare l'establishment, e su questo unico spiraglio di critica si sono orientati tutti quelli che nutrono un profondo dissenso nei confronti della politica iraniana come è stata gestita finora. Secondo me la linea di Rouhani sarà diversa rispetto a quella di Ahmadinejad, ma rappresenta comunque l'interesse generale della Repubblica islamica. Rouhani sarà appunto più aperto verso l'Occidente e tenterà di diminuire le pressioni politiche che si sono create nel periodo del suo predecessore Ahmadinejad, ma sulle questioni interne è un altro discorso.

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Anna Mazzone