Iran, la posta in palio nello Stretto di Hormuz
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Iran, la posta in palio nello Stretto di Hormuz

Il caso del cargo battente bandiera delle Isole Marshall fermato dalle navi iraniane dimostra la criticità della situazione al largo delle coste yemenite

Per Lookout news

È attraccato nel porto iraniano di Bandar Abbas il cargo battente bandiera delle Isole Marshall fermato nella mattinata di ieri, martedì 28 aprile 2015, dalle motovedette della Guardia Rivoluzionaria di Teheran nello stretto di Hormuz. La nave è la portacontainer da 65.000 tonnellate Maersk Tigris, di proprietà di Rickmers Ship Management e Rickmers Group, con sedi rispettivamente a Singapore e Amburgo. Secondo i media iraniani è stata intercettata e abbordata in quanto avrebbe sconfinato in acque territoriali iraniane.

 I militari iraniani hanno sparato dei colpi di avvertimento, costringendo la nave a deviare verso Larak, isola situata a sud dell’isola di Hormuz e a est dell’isola di Qeshm, e a dirigersi quindi verso il porto di Bandar Abbas. Il blitz non è passato inosservato alla marina americana, che dallo scoppio della guerra civile in Yemen presidia con le sue navi le acque del Golfo di Aden. Avvertiti dal capitano della Maersk Tigris, gli USA hanno inviato sul posto il cacciatorpediniere USS Farragut, che in quel momento si trovava a sessanta miglia di distanza, e un aereo da ricognizione.

 

Perché sono intervenuti gli Stati Uniti
In attesa di conoscere ulteriori sviluppi di questa vicenda, nelle ultime ore sono stati chiariti una serie di elementi su quanto avvenuto. Anzitutto, è stata smentita la notizia secondo cui a bordo della nave erano presenti cittadini americani. I membri dell’equipaggio sono 24, tutti provenienti da Paesi dell’Europa orientale e dell’Asia. Dunque, gli USA non sono intervenuti in quanto era a rischio l’incolumità di suoi cittadini, ma perché le Isole Marshall godono della protezione del Pentagono. Passato dal Giappone agli Stati Uniti nel 1944, il piccolo Stato - formato da un gruppo di atolli e isole nel Pacifico tra la Micronesia e Kiribati - è solo formalmente indipendente dagli USA, che mantengono la responsabilità su tutto ciò che concerne la sua difesa e sicurezza. Nonostante gli accordi tra i due Stati, nessun obbligo giuridico imponeva però agli Stati Uniti di intervenire a difesa di una nave battente bandiera delle Isole Marshall perché a bordo non erano presenti cittadini americani.

Il blitz dell’Iran
Mohammad Saidnejad, responsabile dei porti e dell’organizzazione marittima dell’Iran, ha affermato all’agenzia iraniana IRNA che il sequestro della Maersk Tigris è stato disposto da un tribunale di Teheran in quanto è stato appurato che il cargo aveva varcato acque territoriali iraniane. Eppure dagli ultimi rilevamenti satellitari, di cui ha dato notizia l’agenzia Reuters, risulta che la nave stava percorrendo una regolare rotta marittima commerciale, dal porto saudita di Jeddah nel Mar Rosso al porto Jebel Ali negli Emirati Arabi Uniti.

 

Il blitz della marina iraniana potrebbe dunque essere stato ordinato per rispondere alle ultime pressioni degli Stati Uniti, che la settimana scorsa hanno deciso di rafforzare la propria presenza navale nel Golfo di Aden per impedire l’invio di armi via mare da parte dell’Iran ai ribelli sciiti Houthi in Yemen.

 

Il caso è stato inoltre preceduto e seguito da due episodi molto simili. Venerdì 24 aprile motovedette iraniane hanno circondato una nave battente bandiera statunitense, la Maersk Kensington, seguendo l’imbarcazione fino al suo allontanamento dalle acque rivendicate dall’Iran. Mentre è di ieri la notizia secondo cui l’Iran avrebbe sequestrato un cargo danese e i 34 marinai che erano bordo, scortando l’imbarcazione sempre nel porto di Bandar Abbas.

 

Gli interessi nello stretto di Hormuz
Nell’insieme, questi episodi dimostrano la criticità della situazione nelle acque che costeggiano lo Yemen, dove negli ultimi giorni non sono cessati i raid dell’aviazione saudita nonostante Riad abbia annunciato il termine della missione militare “Decisive Storm” e il passaggio a “Restoration Hope”, campagna solo formalmente in linea con quanto stabilito dalla risoluzione 2216 del Consiglio di sicurezza dell’ONU e mirata alla salvaguardia dei confini sauditi e alla lotta al terrorismo.

 Nonostante la posizione di debolezza, negli ultimi giorni l’Iran si è fatto valere nelle acque dello Stretto di Hormuz, dove la posta in palio energetica è altissima. Questo tratto di mare, che divide la Penisola arabica dalle coste iraniane, mette infatti in comunicazione il Golfo di Oman a sud-est con il Golfo di Aden ad ovest, fino alle rotte che portano al Canale di Suez.

 Secondo gli ultimi dati fornitidall’agenzia americana Energy Information Administration, da qui transitano ogni giorno circa 17 milioni di barili di petrolio, ovvero il 30% del totale trasportato via mare in tutto il mondo. Controllare l’area marittima è una carta a favore dell’Iran, utilizzata già altre volte in passato nel confronto con il “nemico” saudita. Una carta più che mai fondamentale per Teheran oggi perché in gioco non c’è solo la tenuta delle roccaforti sciite in Medio Oriente, ma anche l’economia della regione e soprattutto la scadenza del 30 giugno, termine ultimo per trovare un’intesa con il gruppo 5+1 sul suo programma nucleare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Rocco Bellantone