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Contro il fondamentalismo islamico, senza se e senza ma

Ci eravamo da qualche tempo disabituati alle immagini di morte della propaganda jihadista. Quelle istantanee crude ed improponibili che dimostrano, ogni oltre ragionevole dubbio, che nessuna concessione possibilista può essere rivolta all’Islam radicale. In principio furono Daniel Pearl nel 2002 …Leggi tutto

Ci eravamo da qualche tempo disabituati alle immagini di morte della propaganda jihadista. Quelle istantanee crude ed improponibili che dimostrano, ogni oltre ragionevole dubbio, che nessuna concessione possibilista può essere rivolta all’Islam radicale.
In principio furono Daniel Pearl nel 2002 e poi Nick Berg nel 2004, i primi cittadini americani di cui il grande pubblico ha probabilmente memoria. Berg fu decapitato personalmente da quel macellaio del terrore che rispondeva al nome di Abu Musab al-Zarqawi. Solo due anni dopo quando i bombardamenti americani seppellirono per sempre Al Zarqawi, il padre si profuse in allucinanti dichiarazioni di solidarietà verso la famiglia del boia del figlio, indice esemplare di quanto la sindrome di Stoccolma affligga anche coscienze insospettabili.
Nello stesso anno di Berg moriva Fabrizio Quattrocchi, il “mercenario” che sfidò i suoi aguzzini con la frase “vi faccio vedere come muore un italiano”. Oggi non viene più ricordato. Faceva uno “sporco lavoro” e non possedeva il pedegree di reporter, cooperante o terzomondista adatto per vedere la sua effige appesa in Campidoglio per un ciclo di stagioni. Almeno non quanto il connazionale Enzo Baldoni la cui memoria sarà affidata ai pochi resti potuti ritrovare ed a una serie di canzoni, vie e scuole che gli saranno dedicate.
E poi, fino a questi giorni, un elenco sterminato di soldati, cronisti, abitanti nativi di quelle terre senza volto e senza nome, a pagare un prezzo altissimo in termini di vite umane ad una follia confessionale con la quale taluni si ostinano a pretendere un canale di dialogo.
Ma la memoria a breve termine, modello cognitivo imperante, ha affievolito il ricordo di questa scala degli orrori. Fino a ieri appunto.
Vedere quel ragazzo molto americano nonostante il copione scritto per lui dai carnefici, inginocchiato e vestito di quella tunica arancione da martire del terzo millennio, cercare di intuirne gli ultimi pensieri, riuscire quasi ad intercettarne il respiro affannoso di chi sa che la sua vita di li a poco terminerà nel modo più disumano, ha riportato immediatamente alla ribalta l’esistenza di un male assoluto incarnato da quel che oggi chiamiamo isis e ieri definivamo al qaeda.
E allora ripensando alle parole di qualche protogrillino nostrano ed altre espressioni di condiscendenza che ne sono derivate, appare evidente che le coscienze delle persone libere devono difendersi non solo dalla rappresentazione teatrale dell’orrore ma anche dal relativismo di chi, per motivi di opportunismo politico o inclinazione ideologica, non si schiera senza se e senza ma sulla estrema linea di difesa di una civiltà di una cultura di un espressione umana contro l’inconciliabile fondamentalismo di un Islam di cui il volto moderato è sempre meno visibile e influente.
Ciò che il Ministro Mogherini ha definito un “uso strumentale della religione” è, all’opposto, un’interpretazione consapevole e non certo minoritaria della stessa se, vero come vero, il boia incappucciato di James Foley è con tutta probabilità un cittadino britannico, musulmano di seconda o terza generazione. Segno di quanto il male assoluto sia innervato nelle società “evolute” titubanti e irresolute di fronte a quello che Oriana Fallaci definiva un “pianificato tentativo del mondo musulmano di islamizzazione dell’Occidente”.
Ora che a risvegliarci dal torpore dell’indifferenza sono arrivati gli occhi disperati di un giovane ragazzo del Massachussets e, magari, il pensiero della sorte che questi galantuomini potrebbero riservare a due giovani sognatrici italiane pure nelle loro mani, è bene esercitare ogni possibile sforzo per mettere all’angolo, almeno sul piano dialettico, il popolo dei distinguo sempre ben rappresentato tra le elites politiche ed intellettuali.
Una battaglia impari purtroppo. Per cui, però, vale la pena vivere, spendersi e combattere.

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