In Libia la diplomazia non basta
MAHMUD TURKIA/AFP/Getty Images
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In Libia la diplomazia non basta

Le forze governative intensificano gli attacchi per liberare Bengasi dai gruppi islamisti. L’unico linguaggio che conta è quello delle armi

Per Lookout news

Se a Tobruk il parlamento libico pensava di essere al riparo dalla degenerazione che sta contagiando l’intera Libia, adesso dovrà ricredersi. Il 28 ottobre è esplosa un’autobomba all’interno del perimetro di sicurezza della città ferendo una persona. Si tratta del secondo episodio registrato a Tobruk, città situata nell’estrema parte orientale del Paese: lo scorso giugno erano stati lanciati cinque missili Grad da controllo remoto contro la base aerea senza però provocare danni o vittime.

 Da Tobruk era appena ripartito il rappresentante speciale dell’ONU in Libia, Bernardino Leon, dove si era recato per verificare la fattibilità di nuovi colloqui per portare avanti il processo di riconciliazione nazionale. Dopo la prima riunione tra le varie fazioni libiche, tenutasi a fine settembre a Ghadames, le (false) speranze che la comunità internazionale e libica avevano riposto nelle trattative sono man mano svanite a fronte anche di un visibile pessimismo tra gli stessi rappresentanti del parlamento libico, ormai chiaramente orientati a prediligere la soluzione militare a quella diplomatica.

 Il 28 ottobre il premier Abdullah Al Thinni ha provato a trovare sostegno quantomeno all’estero recandosi in visita dal presidente sudanese Omar Al-Bashir. Il Sudan ha garantito il suo impegno nella mediazione della crisi, suggerendo l’organizzazione di un nuovo incontro tra i rappresentanti degli Stati della regione limitrofi sulla falsa riga di quanto già proposto il mese scorso da Algeria ed Egitto. L’ultimo round di negoziazioni si era svolto al Cairo il 19 ottobre all’indomani della condanna unanime delle violenze in Libia lanciata dai governi di Francia, Italia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti.

 Continua l’offensiva su Bengasi
Intanto le forze governative, sotto il simbolo dell’Esercito nazionale libico (LNA), coadiuvate dai reparti fedeli all’ex generale Khalifa Haftar, stanno conducendo offensive contro le cellule di Ansar Al Sharia nel tentativo di liberare Bengasi. La settimana scorsa le forze governative erano riuscite a respingere i miliziani del Consiglio Rivoluzionario di Bengasi (BRSC) da Guwarsha – un’area dall’alto valore simbolico perché a elevata concentrazione islamista – e a recuperare il controllo dell’80% della capoluogo della Cirenaica. Raid aerei sono stati condotti nell’area di Masekin e pare che diversi quartieri (Benina, Buatni, Fuwaiyhat, Majouri, Kish, Budheima, Sidi Mansour e Al-Rajma) siano stati definitivamente sottratti ai miliziani islamisti.

 Perdurano invece gli scontri nei pressi di Sabri, dove le forze governative hanno imposto l’evacuazione dei residenti per poter attaccare gli ultimi bastioni islamisti: nella sola giornata del 27 ottobre sono state registrate almeno 28 vittime. Proseguono gli scontri anche vicino all’università di Garyounis, dove un leader della Brigata 17 febbraio, Ali Faraj Al-Magasabi, sarebbe stato catturato, e nel vicino distretto di Tabalino, dove sono stati effettuati raid aerei. Altri attacchi dell’esercito sono stati condotti a Salmani, dove è stata colpita l’abitazione di un comandante di Ansar Al Sharia, Jalal Makhzoum.

 Rappresaglie a Tripoli
Dal Niger giunge invece la denuncia dell’assedio alla sede della rappresentanza nigerina a Tripoli per mano di miliziani non identificati che hanno preso in ostaggio per tutta la giornata del 27 ottobre il personale diplomatico, compreso l’ambasciatore, poi liberato senza subire violenze. Da parte delle autorità del Niger è stata rigettata l’ipotesi che l’incidente sia da ricondurre ai numerosi appelli da parte del presidente del Paese, Mahamadou Issoufou, a intervenire militarmente in Libia.

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