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Uccidere un figlio è meno grave se è adottivo?

Lascia perplessi la sentenza della Cassazione che ha annullato l'ergastolo per un padre che ha accoltellato il figlio adottato

Dove si può trovare un giudice che possa cassare la Cassazione? A volte viene da chiederselo. Soprattutto quando i formalismi dei supremi giudici sconvolgono il senso comune, e insieme il nostro povero senso di giustizia.

Il 26 settembre la prima sezione penale della corte ha annullato la condanna all’ergastolo di un cittadino moldavo di 57 anni, Andrei Talpis, che nel 2013 a Remanzacco, un piccolo comune dell’Udinese, aveva ucciso con una coltellata Ion, il figlio adottivo di 19 anni.

Perché l’annullamento? Tenetevi forte. Il processo è da rifare davanti alla corte d’appello di Venezia, hanno stabilito i supremi giudici, proprio perché la vittima non era figlio "naturale" dell’omicida, ma era "soltanto" un figlio adottato. Quindi l’imputato non meritava l’ergastolo, bensì una pena detentiva compresa, al massimo, tra i 16 e i 30 anni di reclusione.

Quattro anni fa, e anche durante il processo, le cronache hanno sempre liquidato in poche righe quella storia triste e disperata: ma a ripercorrerla, oggi, il cuore si stringe ancora di più.

Cosa è successo

Raccontano, le cronache, che il 26 novembre 2013 Talpis fosse tornato a casa ubriaco e che, come tante volte gli capitava, avesse cominciato a picchiare Elisaveta, sua moglie. Allo stesso modo, come tante altre volte, il povero Ion, che dalla coppia era stato adottato in Moldavia, aveva cercato di difendere la madre e la sorella, Cristina, da quel patrigno violento.

Il suo generoso slancio però si era infranto contro il coltellaccio da cucina, brandito dal padre, che gli si era conficcato nel petto.

Da allora, Talpis è in carcere: qui attende ancora l’esito del processo parallelo per il tentato omicidio della moglie. Lei, Elisaveta, lo scorso marzo ha ottenuto che la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo condannasse l’Italia a pagarle 30 mila euro di un cupo risarcimento per non avere fatto abbastanza per proteggerla, con i figli, dalle violenze del marito.

Dalla sua cella, va detto anche questo, l’imputato ha sempre negato di aver voluto uccidere il ragazzo.

Il punto è che nessun magistrato dell'accusa, nessun giudice, in questi anni ha mai pensato di modificare l'accusa da omicidio volontario in omicidio preterintenzionale.

Nessuno, insomma, pare aver creduto a Talpis e alla sua versione: "Non volevo togliere la vita a mio figlio". No: anche la Cassazione ha confermato che l'imputato ha deliberatamente voluto uccidere il figlio. Ma non merita l'ergastolo perché il figlio non è che un figlio adottivo, quindi di serie B.

L’inquietudine e la sorpresa provocate da questa strana sentenza sono forti.

Il perché della sentenza

La spiegazione è che la questione è stata affrontata dalla Cassazione con la rigida applicazione dell’articolo 577 del codice penale, che risale a 87 anni fa.

Quell’articolo stabilisce la pena dell’ergastolo se l’omicidio è commesso "contro l’ascendente o il discendente", perché in quel caso scatta l’aggravante

La pena invece scende a un ambito compreso fra i 24 e i 30 anni di reclusione "se il fatto è commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo…".

Insomma, è proprio il codice Rocco del 1930, non per nulla "anno ottavo dell’era fascista", a escludere l’aggravante speciale che, proprio in virtù di una discendenza "naturale" tra vittima e carnefice, in caso di omicidio prevede invece il carcere a vita.

Eppure, nel nostro codice civile, da tempo vige la piena parificazione dello status tra figli adottivi e legittimi.

Ed è la stessa piena consapevolezza del comune sentire, che semmai dovrebbe percepire come ancora più alto e condizionante il senso di responsabilità di un padre nei confronti di un figlio non suo: dovrebbe anzi avvertire il sentimento di un dovere più immanente ancora (se possibile) di quello proprio di qualsiasi padre "naturale". Anche in campo penale.

Non è andata così in Cassazione. Martedì 26 settembre la corte ha deciso diversamente. "La questione è talmente spinosa e complessa" ha affermato Giuseppe Campanelli, il legale di parte civile "che per valutare il da farsi e per esprimere il nostro parere abbiamo deciso di attendere le motivazioni della sentenza".

Ma a pronunciarsi è stata la nostra suprema corte, quindi non c’è proprio nulla da fare. Perché, si sa, chi può cassare la Cassazione? Forse potrebbe pronunciarsi la Corte costituzionale. Servirebbe, però, che un giudice prima o poi sollevasse il problema.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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