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Raffaele Cantone contro l'Anm: un po' tardi

L'improvvisa presa di coscienza del presidente dell'Autorità anti-corruzione sulle carenze dei magistrati non è solo tardiva. È sintomo di un disastro

Il clamoroso contrasto che da qualche settimana oppone l'Associazione nazionale magistrati a Raffaele Cantone, l'ex pubblico ministero anti-camorra dal marzo 2014 nominato dal governo Renzi alla guida dell'Autorità anti-corruzione, rientra in quel grande teatro dell'assurdo che è l'Italia.

Premessa: Cantone non è un magistrato qualunque. Per anni le cronache lo hanno celebrato come "IL PUBBLICO MINISTERO" per antonomasia: quantomeno uno tra i migliori, più impegnati, più onesti e indefessi inquirenti nella recente storia nazionale.

Fino al 2007, Cantone aveva fatto parte della Direzione distrettuale antimafia napoletana, si è occupato delle indagini sul clan camorristico dei Casalesi, alla base del best seller (e manifesto di certa parte politica) Gomorra. È il pm che è riuscito a ottenere l'ergastolo per i capi di quel gruppo, tra cui Francesco Schiavone, il mitico Sandokan.

Cantone, ovviamente, ha fatto parte della vita sindacale della magistratura: da ragazzino si è iscritto alla corrente "moderata" di Magistratura indipendente ("la stessa di Giovanni Falcone", ha spiegato). E in seno al suo ambiente è stato un campione del politically correct: mai una parola fuori posto, mai una critica al sistema, non si ricorda un'intervista contro-corrente.

È anche in virtù di quelle virtù, probabilmente, che è assurto al rango di "Superman anti-mazzette".

Poi, una volta entrato in aspettativa per il suo incarico all'Autorità, Cantone ha cominciato a parlare. E ha iniziato a sparare in modo davvero sorprendente sulla sua categoria di appartenenza.

Un esempio? Lo scorso 2 settembre, a Milano, Cantone è andato alla Festa dell'Unità e ha detto cose inaudite, per i suoi colleghi magistrati.

Cose come "non mi è mai piaciuto il settarismo di Magistratura democratica (la corrente storicamente a sinistra della categoria, ndr), che l’ha sempre caratterizzata: fin da quando perfino teorizzava l’uso della giustizia come lotta di classe";

cose come "Il Consiglio superiore della magistratura è ormai un centro di potere di cui si fa fatica ad accettare il ruolo (…) e le correnti sono diventate un cancro della magistratura";

cose come "io non credo che la separazione delle carriere sia uno strumento per asservire il pubblico ministero (al governo, ndr)";

cose come "io faccio fatica a pensare di essere difeso da un soggetto, l'Anm, che si batte per tenere il numero di ferie a 45 giorni".

Alla luce di queste banalissime frasette, vi sarà chiaro perché Cantone oggi passa qualche guaio d'immagine e viene additato dai capi dell'Anm stessa come un ex collega che rompe un po' troppo le scatole e viene improvvisamente bollato come "troppo vicino alla politica"?

Capite perché improvvisamente la sua popolarità sta rischiando di evaporare come neve esposta al sole dell'Equatore?

Certo, dirà qualcuno, Canrtone poteva svegliarsi prima e pronunciare quelle critiche quando ancora faceva il magistrato.

Bella pretesa! A parte qualche coraggioso eroe (mi vengono in mente due nomi, ma non li scrivo per evitare loro guai), i magistrati esternano le loro fondatissime perplessità sul sistema giudiziario, sul potente sindacato che le governa e sul Csm soltanto quando sono usciti dalla categoria, e generalmente dopo essere andati in pensione.

Questo perché la sempre conclamata "indipendenza della magistratura" è una favola vuota.

Nessuno osa entrare in conflitto con le correnti che hanno in pugno la carriera di ogni singolo magistrato. Paradossalmente, è molto più facile criticare il ministro della Giustizia, che di fatto non ha nessun potere nei loro confronti. Più difficile è farlo con l'Anm che, attraverso il Csm, decide le tue sorti professionali e magari disciplinari.

Capite perché il sistema è arrivato al capolinea, e avrebbe bisogno di una drastica riforma? Cantone lo ha certamente capito. Ma lo capirà il governo Renzi? Lo avrà capito il ministro Andrea Orlando? Soprattutto, ne avranno il coraggio?


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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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