La condanna a Pollari era un errore 'filosofico'
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La condanna a Pollari era un errore 'filosofico'

La Cassazione lo ha oggi assolto per questi motivi di cui parlavamo un anni fa nel giorno della condanna di secondo grado. Era la difesa della filosofia del segreto di Stato

C’è un fondamentale errore giuridico, quasi «filosofico», nella vicenda processuale che ieri, 12 febbraio 2013, ha portato alla condanna di Niccolò Pollari, ex capo del Sismi (così si chiamava a suo tempo il servizio segreto militare italiano). Un errore che attiene alle garanzie della difesa, e che prima o poi dovrà essere sollevato.

Nel giudizio di secondo grado, che ieri ha ribaltato l’assoluzione del tribunale, Pollari è stato riconosciuto colpevole di complicità nel sequestro di Abu Omar, l’imam milanese che la Cia prelevò con la forza nel febbraio 2003, per poi trasportarlo in una prigione egiziana e sottoporlo a torture allo scopo di ottenere informazioni sul terrorismo islamico (cui Omar era peraltro collegato).

La clamorosa condanna di ieri, però, arriva mentre ancora si attende una pronuncia da parte della Corte costituzionale, cui il governo ha presentato una serie di eccezioni sul tema del segreto di Stato.

Ma sta proprio qui l’errore «filosofico»: la condanna di Pollari arriva senza che il tribunale abbia potuto accedere a prove difensive dell’imputato (e di altri imputati), proprio perché nel corso del tempo tre governi italiani (premier Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Mario Monti) hanno opposto al tribunale il segreto di Stato. E questo anche se Pollari, che si proclama innocente e personalmente contrario alla pratica dei rapimenti e della tortura, abbia (paradossalmente) più volte chiesto di essere sciolto dall’obbligo di rispetto del segreto di Stato per potersi difendere.

Da ultimo, appena pochi giorni prima della condanna, il governo Monti ha cercato di coinvolgere la Corte costituzionale sollevando una serie di eccezioni: l'esecutivo ha tra l’altro fatto ricorso contro la Corte di appello di Milano per l'ordinanza del 28 gennaio 2013 "con la quale è stata disposta l'acquisizione al procedimento di verbali che contengono riferimenti a fatti o circostanze da ritenersi coperti dal segreto di Stato prima apposto e poi opposto e confermato dai precedenti presidenti del Consiglio pro-tempore".

L’unico argomento dell’accusa, però, è stato fin qui proprio il segreto di Stato, interpretato dai pubblici ministeri (e ieri anche dalla Corte d’appello milanese) come prova di una copertura istituzionale nei confronti di Pollari, quindi reputato colpevole del reato che gli veniva ascritto.

Il tribunale, di fatto, non ha processato (e condannato) Pollari e gli altri imputati, bensì il principio in base al quale un governo può avvalersi del segreto di Stato a protezione della sicurezza nazionale.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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