Yara Gambirasio
Ufficio stampa Carabinieri
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Le follie dell'inchiesta su Yara Gambirasio

I giornali sono pieni di "soffiate" su docce solari, locali da ballo e altre banalità. alla faccia del garantismo e della buona giustizia

Fermi tutti. Lo scempio mediatico-giudiziario al quale stiamo assistendo sul caso Yara dev’essere qualcosa che offende le nostre coscienze e che ferisce quel senso della giustizia che non è “garantismo”, ma elementare rispetto per la persona. Massimo Giuseppe Bossetti, il 43enne muratore di Mapello in carcere con l’accusa di avere assassinato Yara Gambirasio, è sottoposto in queste ore (lui e la sua famiglia) a un processo quotidiano nel quale l’unica parola è palesemente dell’accusa.

Un processo che non è solo indiziario (magari), ma addirittura fondato su “sussurri” degli investigatori, soffiate di “soffiate”, e forzatura dei titoli di giornale.

La cosa più grave è che se mai Bossetti risultasse alla fine innocente e emergesse invece una grave negligenza nel considerare gli elementi utili per scagionarlo o il dolo nell’accanirsi contro di lui (al momento sembra esserci una sola “prova schiacciante”: il dna sugli slip di Yara, che però dovrà passare al vaglio dei periti di parte e dell’eventuale processo, ed essere inquadrata in una ricostruzione coerente dei moventi e del delitto, grazie ad altre prove e a gravi indizi), nessuno pagherebbe per la sistematica demolizione della sua immagine. Perché non esiste in Italia la responsabilità civile (diretta) dei magistrati, a dispetto di quell’81 per cento di italiani che secondo un sondaggio SWG vuole che il magistrato che sbaglia sia responsabile della propria azione, e di quel 64 per cento che ritiene indispensabile l’azione diretta, senza passare dallo Stato.

In Italia, quello che succede è che solo dopo trent’anni il PM che definì Tortora “un cinico mercante di morte”, Diego Marmo, chiede scusa alla famiglia. Ma non si dimette dalla sua ultima carica: assessore alla legalità di Pompei. E non paga per i suoi errori, anzi viene premiato.  

Ma torniamo a Yara. Leggo un grande quotidiano nazionale, che dopo aver riportato le dichiarazioni di Bossetti sulla propria vita abitudinaria e sulle serate passate in famiglia, sottolinea che invece “usciva da solo, ci sono persone pronte a giurare di averlo visto di sera proprio nella zona dove la ragazzina viveva”. E ancora. “Il quadro fornito dall’uomo ha ‘buchi’ che appaiono incomprensibili”. Quali? Interrogato, Bossetti avrebbe preferito non dire che a volte incontrava gli amici e che due volte alla settimana si faceva una lampada solare, così come “rimane inspiegabile” la scelta della moglie di non pronunciarsi sull’uso dei computer di casa.

Ricostruendo il lavoro degli inquienti, lo stesso grande quotidiano riporta che l’accusa è particolarmente colpita dal fatto che Bossetti ha negato le docce solari “total body” mentre questo dettaglio rafforzerebbe la tesi dell’innocenza (perché spiega la sua presenza nella zona della palestra di Yara). “Perché quella bugia, ribadita anche dalla moglie?”. Bossetti si vergognava di farsi le lampade solari? E perché? “Un campanello d’allarme per gli inquirenti, che hanno iniziato a scavare per tentare di svelare una possibile, doppia vita, dell’arrestato”. Ovvio: uno dei “buchi” dell’accusa è l’assenza di qualsiasi passata denuncia o voce su comportamenti sessuali anomali di Bossetti. Riporta il suddetto quotidiano che nei 12 giorni dopo l’arresto, sono stati ascoltati un centinaio di testimoni. E cosa emerge? Fra l’altro “una soffiata: passava intere serate nei disco pub della provincia, altro che a casa. Ad esempio, in un locale della bassa Bergamasca”. Riscontri? Una squadra di poliziotti e carabinieri è andata a cercarli. Solo che per il titolare “può essere stato qui, ma personalmente non lo ricordo”. Un investigatore “sussurra” che secondo alcuni amici era uno che amava fare lo splendido”. 

Ecco, qui dico: fermi tutti. È pazzesco. Ripeto: un investigatore “sussurra” all’inviato del grande quotidiano che, secondo qualche amico, l’accusato “faceva lo splendido”. E allora? 

Bossetti andava alla trattoria “Toscanaccia”, due minuti a piedi dalla casa di Yara. Ma il gestore brasiliano dice: “Non ricordiamo di averlo visto”. Un altro grande quotidiano nazionale titola su “tutte le bugie di Bossetti” e si concentra sul fatto che si informava su Internet riguardo a Yara (strano: uno dei più grandi fatti di cronaca nazionale degli ultimi anni è avvenuto nel suo circondario e lui, ogni tanto, andava a vedere le novità). E poi, a volte marinava il lavoro. Dice un operaio all’inviato del grande quotidiano: “Qualche volta Bossetti ci diceva che aveva da fare e se ne andava, spariva dal cantiere e no, non sappiamo dove”. Qualcuno l’aveva soprannominato “il caciabale”. Una volta, audite audite, ha detto che andava dal medico ma gli investigatori hanno accertato che no, non c’era andato. Cose che non succedono mai, in Italia… 

Un’indagine che davvero non trascura nulla. Gli investigatori sono volati anche a Fuerteventuera, nelle Canarie, e a Sharm el Sheik, dove i Bossetti hanno fatto vacanza nel 2010 e 2011. “Bossetti ha avuto e si è fatto notare per qualche comportamento anomalo?”. Lo sapremo leggendo i giornali nei prossimi giorni. Magari un DJ della discoteca di Sharm potrà dire se scolando un cocktail la sera dopo aver lasciato la famiglia in stanza, a un anno o due dall’assassinio della povera Yara, Massimo Giuseppe Bossetti abbia fatto una confidenza o allungato l’occhio su qualche turista...

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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