La Cassazione e la denuncia anonima
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La Cassazione e la denuncia anonima

La suprema corte stabilisce che il divieto di usare esposti senza firma non sia tassativo. Ma così apre la strada ad abusi e vendette. Che fine fa lo Stato di diritto?

Nessuno, qui, può o vuole impancarsi a giurista. Però, sommessamente, va detto che strane cose stanno accadendo in Corte di cassazione.

Oggi, per esempio, i quotidiani raccontano di una sentenza che stabilisce sia perseguibile penalmente il comportamento di chi inganna l'amante facendogli credere di essere un "single" o divorziato. Sarà: a me pare un altro passo lungo la strada della "overcriminalization", verso l'eccesso di criminalizzazione dei comportamenti.

Qualche giorno fa, però, la Cassazione ha sentenziato in un'altra direzione. E pare aver deciso per il peggio.

A tutti gli studenti di Giurisprudenza viene insegnato che il Codice di procedura penale prevede che delle denunce anonime non possa essere fatto alcun uso, salvo alcune rarissime eccezioni (fondamentalmente, se le denunce stesse sono in sé il corpo di un reato). È ovvio che sia così, è razionale. Anzi, è un fondamentale principio garantista: il divieto per le forze dell’ordine e per l’autorità giudiziaria di raccogliere una denuncia anonima serve proprio a garantire il diritto alla difesa del presunto reo, il quale può tutelare i suoi diritti soltanto conoscendo i fatti che gli vengono addebitati e l’autore delle accuse.

Inoltre, una società che prendesse per buone le delazioni anonime (come per esempio faceva la Repubblica Veneta nel Settecento), darebbe la stura a un uso strumentale degli esposti, esponendosi a mille abusi e vendette.

Proprio pochi giorni fa, invece, la sesta sezione della Corte di cassazione, con la sentenza numero 34450 del 4 agosto che motivava una condanna dello scorso aprile, ha stabilito che anche una denuncia anonima possa essere utilizzata dall’autorità giudiziaria per ordinare perquisizioni e sequestri.

In questo caso, la Cassazione doveva decidere sul ricorso di un dipendente pubblico che nel dicembre 2015 aveva pubblicato su Facebook una serie di dichiarazioni offensive verso il presidente della Repubblica. L'uomo, un quarantenne di Ancona, era stato segnalato con un esposto anonimo e la polizia giudiziaria gli aveva sequestrato il cellulare e gli hard disk dei due computer, a casa e al lavoro. L’imputato lamentava proprio che tutto fosse partito da un esposto anonimo.

Ecco, parola per parola, che cosa stabilisce la sentenza (la citazione è lunga, ma merita di essere trascritta per intero): "Una denuncia anonima non può essere posta a fondamento di atti tipici d’indagine e quindi non è possibile procedere a perquisizioni, sequestri e intercettazioni telefoniche, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l'esistenza d’indizi di reità. Tuttavia, gli elementi contenuti nelle denunce anonime possono stimolare l'attività di iniziativa del pubblico ministero e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo possano ricavarsi estremi utili per l'individuazione di una notitia criminis".

Riassumo brevemente quel che avete appena letto. La denuncia anonima non dovrebbe essere utilizzata da agenti e magistrati; però, se serve per individuare un reato, allora può essere utilizzata.

Vi pare normale? Vi pare logico? A me no. Anzi, il ragionamento della sentenza mi pare contraddittorio, incoerente, quasi paradossale. Se in base al codice una denuncia anonima è inutilizzabile in un procedimento penale, lo è sempre. Non diventa improvvisamente legittima e utilizzabile "se può essere utile per l'individuazione di un reato": non può, perché questo è un rimbalzo del tutto illogico.

Ammettiamo per assurdo che sia così. Ma allora chi stabilisce a priori quale denuncia anonima sia potenzilmente utile a individuare un reato e quale invece sia «inutile»? Il poliziotto? Il pubblico ministero? E come fanno a deciderlo, costoro, senza indagare (illegittimamente)?

Pacatamente, la sentenza pare quanto meno bizzarra. E vorrei tanto che un giurista vero mi spiegasse se sbaglio, e dove. E comunque: chi cassa la Cassazione?

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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