Roberto Formigoni
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Formigoni: "Andare in carcere? Non ho paura"

L'ultima intervista esclusiva di Panorama all'ex Governatore della Lombardia condannato in Cassazione a 5 anni e 10 mesi

Ha paura? «No, nemmeno un po’. Se mi fermo a pensarci, però, divento pazzo».

Roberto Formigoni, 71 anni e per 18 presidente della Lombardia (ma per una vita anche senatore, deputato, europarlamentare) tutto sembra, tranne che pazzo. Eppure, anche dalle carte che gli ingombrano il tavolo, è chiaro che la sua vicenda giudiziaria continua a riempirgli i pensieri, senza sosta. In settembre, la Corte d’appello di Milano l’ha condannato a sette anni e sei mesi di reclusione per le presunte corruttele sulla sanità lombarda. Una condanna confermata in Cassazione, ridotta a 5 anni e 10 mesi. Formigoni ora dovrà scontare la pena nel carcere di Bollate: «Non ne ho paura» conferma lui «e posso dire di non averne mai avuta, anche in situazioni che rischiose erano per davvero. Comunque non mi sono neanche mai sottratto a un processo: ne ho subiti 18, finendo assolto in 16 e prosciolto in due».

Quindi in questi mesi non ha mai pensato di scappare?

Sa che me l’hanno anche suggerito? Ma no, non c’è verso. Io non scapperei mai.

Lo sa che Piero Calamandrei, il grande giurista che fu anche uno dei padri costituenti, diceva: «Se m’accusano di avere rubato la torre di Pisa, mi do alla latitanza»?

No, non lo farei mai. Perché so di essere innocente. Perché spero di trovare un giudice a Roma. E perché sono un uomo delle istituzioni. Certo, mi amareggia essere finito in questo processo senza una sola prova contro di me, e sono anche preoccupato per lo Stato di diritto.

E se alla fine dovesse andare male?

Da uomo, soffrirei la condanna e il carcere come l’ingiustizia finale. Da cattolico, però, accetterei la prova, sia pure con sofferenza e ribellione: so che il Signore può chiederci il sacrificio. Certo, a 71 anni mi sarei augurato di vivere una «terza età» più tranquilla.

Già. Le hanno anche sequestrato la pensione...

Nel 2014, a dire il vero, mi hanno sequestrato tutto; proprietà, automobile, conti correnti. Mesi fa la Corte dei conti mi ha bloccato anche la pensione. E non si è fermata, come credo accada sempre in questi casi, a un quinto del mio assegno, che è sopra i 4 mila euro: me l’ha preso per intero.

E quindi, oggi, di che cosa vive?

Faccio consulenze.

Chi la difenderà in Cassazione?

I miei due avvocati, Mario Brusa e Luigi Stortoni, mi hanno proposto di coinvolgere Franco Coppi, uno dei più grandi cassazionisti d’Italia: il professore ha letto tutte le carte e poi ha accettato la difesa, con grande convinzione. M’è parso un ottimo segnale. Ora abbiamo appena presentato il ricorso. La Corte deciderà la data dell’udienza. Poi...

Lei dice che non c’è una sola prova contro di lei. Coma fa a dirlo?

Confermo. Non c’è un solo atto contestato dall’accusa che porti la mia firma. All’inizio del processo, i pubblici ministeri dicevano che contro di me c’erano «ben 41 pistole fumanti»: le 41 delibere della Regione che avevano avvantaggiato la clinica Maugeri. Ma poi s’è scoperto che tutte erano corrette.

Lei, però, era il potente presidente della Regione...

E infatti, cadute le 41 pistole fumanti, è stato fatto valere il concetto di una «protezione globale» che, da governatore, io avrei garantito personalmente a chi mi corrompeva. C’è soltanto un piccolo problema.

Quale?

Tutte le norme contestate dall’accusa o sono atti della Giunta regionale, e quindi in quel caso frutto della decisione di 17 persone. Oppure sono state approvate dal consiglio regionale: la legge che nel 2006 investì 3 miliardi per il miglioramento degli ospedali, per esempio, era stata votata anche dalle opposizioni. Agli atti ci sono verbali che certificano il voto favorevole dei consiglieri del Pd: 78 a favore su 80, un solo contrario e un astenuto. E io sono l’unico colpevole? E di che cosa, poi? Di un atto politico votato praticamente da tutti?

Con quei fondi non è stata avvantaggiata soprattutto la sanità privata?

Questa è una delle accuse che mi fanno impazzire, come quella di avere sottratto soldi ai malati. Quei fondi sono stati usati per migliorare le cure, per nuove attrezzature, per assumere personale. Per questo le opposizioni non avevano potuto fare altro che votare a favore. All’85 per cento, tra l’altro, quei fondi erano andati agli ospedali pubblici, e solo per il 15 ai privati. E sulla base di controlli rigorosi.

E i favori che lei avrebbe ricevuto?

L’accusa parla di 6 milioni di euro spesi per lei: vacanze, yacht... Ho avuto la colpa di avere amici danarosi.

Dal 1980 Pietro Daccò (l’imprenditore condannato a nove anni, ndr) organizzava le sue vacanze con 30 amici. Invitava anche me.

Dov’è il reato? Ripeto, non c’è nulla che il presidente della Lombardia possa decidere o fare, in solitudine. E difatti non c’è un solo atto con la mia firma.

L’accusa ha però sostenuto che lei non abbia quasi usato i suoi conti correnti per anni: non è una prova?

Già. È stato detto che avrei avuto ogni cosa pagata da altri. Ma è soltanto un’altra falsità, e un’altra sofferenza. Si sa che io vivo in una comunità religiosa (i «Memores domini», ndr): al suo interno, a inizio anno, ognuno consegna la sua cifra pro-quota a un amministratore comune. È per questo che dai miei conti non compaiono spese ricorrenti, o uscite quotidiane.

Dopo la condanna d’appello, tra i suoi amici c’è chi si è allontanato?

Sì, ma non ne voglio fare i nomi. Sono molto più numerosi, comunque, quanti mi sono rimasti vicini. È anche grazie a loro, e alla mia famiglia, che resisto.

E per strada ha mai avuto problemi?

Problemi? Intende dire gente che si manifestasse aggressiva? No, per nulla. Mai. Pensi che qualche giorno fa un gruppo di ragazzini sui 16 anni mi ha chiesto di fare un selfie con loro. Buffo: quando ero presidente avranno avuto non più di dieci anni...

Davvero? Nemmeno una critica?

Oh, qualche critico si trova sempre. Un giorno, uno passava in bici mi e ha gridato dietro: «Pirla!». Ho incontrato anche alcuni che volevano discutere. In due casi su tre, però, se ne sono andati quasi scusandosi, ogni volta dicendo: «Questo proprio non lo sapevo». È la testimonianza che c’è stato bisogno di distruggermi con falsità mediatiche. Come quella sui 49 milioni che mi avrebbero sequestrato.

Falso anche quello?

Totalmente. Nel 2014 la Procura aveva ordinato il sequestro, «fino a 49 milioni di euro», nei confronti di tutti gli imputati. Chi più aveva, più si è visto sequestrare. A me non hanno trovato molto. Eppure certi giornali hanno scritto: «Sequestrati 49 milioni a Formigoni». Malgrado tutto, comunque, la strada è con lei... Mi capita molto spesso di essere fermato da persone, soprattutto anziani, che mi dicono: «Quando c’era lei, la sanità funzionava meglio». Anche questo mi fa impazzire.

Che cosa?

Che abbiano cercato di distruggere non solo la mia immagine, ma anche tutto quello che era stato fatto. Non ci sono riusciti, però: perché la gente, quando ha sperimentato il bene, non dimentica.

Ci sono stati avversari che le hanno manifestato solidarietà, vicinanza?

Alcuni. Mi ha fatto molto piacere lo abbia fatto un mio predecessore che stimo: Piero Bassetti, uno che di certo non può ascriversi alla mia parte, visto che ha sostenuto tutti gli ultimi candidati di sinistra a sindaco di Milano.

Che spiegazione si dà, per tutto quel che le è accaduto?

Ho avuto potere. Tra 2010 e 2011 ero il presidente della Lombardia per la quarta volta consecutiva. Ero stato designato come il possibile successore di Silvio Berlusconi alla guida del centrodestra. Avevo fatto riforme positive. Può bastare?

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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