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E se il pm fosse "responsabile" delle intercettazioni?

Beniamino Migliucci, presidente dei penalisti: "La legge-delega per la riforma della Giustizia varata dal Senato in questa parte va bene: il solo responsabile di ogni fuga di notizie sarà lui"

Il 2 agosto la commissione Giustizia del Senato ha approvato il suo testo di legge-delega al governo per la riforma del Codice penale e di quello di procedura, che ha apportato alcune importanti modifiche al testo già varato dalla Camera dei deputati.

Panorama ha chiesto a Beniamino Migliucci, avvocato a Bolzano e dal settembre 2014 presidente dell’Unione delle camere penali, quale sia il suo giudizio sui punti cruciali della riforma, a partire dalle intercettazioni. “Il Senato ha fatto un buon lavoro” dice Migliucci “perché ha ancora migliorato le modifiche al Codice penale indicate dalla Camera. E la commissione guidata da Nico D’Ascola ha mostrato di saper resistere alle richieste più oltranziste che venivano dall’Associazione nazionale magistrati”.

E sulle intercettazioni? Prima della Camera e del Senato si erano mosse le Procure di Roma, Torino e Napoli, a partire dal novembre scorso, con circolari interne tese a evitare la pubblicazione di notizie penalmente irrilevanti.
Sì. E con quelle circolari le Procure hanno di fatto “confessato” che le cose da troppo tempo non vanno secondo quanto prescrive il Codice esistente. È stato un problema che i pubblici ministeri hanno colpevolmente ignorato, per anni. Se uno volesse essere malizioso, ci sarebbe da chiedersi perché si muovono soltanto ora.

E lei, se fosse malizioso, che risposta si darebbe?
Che si vuole dare "un’indicazione" alla politica, che finalmente si sta muovendo. Lo stesso vale per il Consiglio superiore della magistratura…

Che il 28 luglio ha approvato nuove linee-guida restrittive sulla pubblicabilità delle intercettazioni. Un segnale positivo, o no?
Alcuni spunti del provvedimento sono certamente condivisibili. Ma poi uno si domanda: perché il Csm interviene proprio ora, mentre il Parlamento sta discutendo della legge-delega al governo sulla riforma del Codice penale? E soprattutto: il Csm deve esprimere un parere sulle intercettazioni?

La sua risposta?
È un “no”. Perché a riformare il Codice non possono essere né i pm né il Csm. Dev’essere il Parlamento. La nostra preoccupazione è che la politica accolga il “vassoio d’argento” con le proposte dei magistrati per assecondare l’autorevolezza della fonte. I magistrati possono essere interpellati dalla politica, ci mancherebbe: esattamente come noi avvocati. Quel che contesto è la “sistematica partecipazione consultiva” dei magistrati e del loro sindacato nella fase di predisposizione delle norme. Sono queste le parole che ha usato il ministro della Giustizia, Andrea Orlando.

Che cosa ha stabilito in materia d’intercettazioni la commissione Giustizia del Senato?
La delega è più precisa e specifica di quella che era stata varata dalla Camera, e questo è un bene. Ma risente di qualche contraddizione. Sicuramente positiva è l’indicazione che vuole garantire riservatezza alle comunicazioni tra l’avvocato e il suo assistito, che ora dà piena rilevanza alla funzione della difesa. Il problema è serio: in base a una ricerca pubblicata nel 2014, curata dall’Università di Bologna e coordinata dal professor Giuseppe Di Federico, il 73% dei penalisti italiani sostiene che, anche se il Codice lo vieta espressamente, più o meno frequentemente le loro conversazioni con il cliente vengono intercettate.

Che cos’altro prescrive il Senato?
Chiede “una precisa scansione procedimentale per la selezione del materiale intercettativo, nel rispetto del contraddittorio tra le parti”.

E le intercettazioni non pertinenti al reato, o che coinvolgono casualmente persone non indagate?
Il Senato postula “la tutela della riservatezza di comunicazioni e conversazioni delle persone coinvolte occasionalmente nel procedimento e delle comunicazioni non rilevanti” penalmente. Il testo licenziato dal Senato è molto esplicito. Se troverà una corrispondente attenzione nel legislatore-governo, sarà decisamente un bene.

Quindi che cosa deve fare il pubblico ministero delle intercettazioni?
Deve “assicurare la riservatezza” degli atti e delle intercettazioni. E fino alla fine dele indagini preliminari deve custodirli in un archivio riservato, con “facoltà di esame e di ascolto, ma non di coopia” da parte dei difensori e del gudice.

Questo vi soddisfa?
Direi di no, perché dimostra ancora diffidenza per la funzione difensiva: le parti devono avere gli stessi diritti. L’unico pregio, se passasse questa posizione, sarebbe che se davvero tutto il materiale sarà nelle mani del pubblico ministero. A quel punto, l’unico responsabile di eventuali fughe di notizie non potrà essere che lui.

Invece oggi, secondo lei, di chi è la responsabilità delle fughe?
Il 70-80% delle notizie relative a intercettazioni che escono sui mass media provengono dal circuito inquirente, cioè dai pm e dalla polizia giudiziaria.

E il resto?
Il resto esce da altre fonti: anche avvocati, in piccola parte, ma tendenzialmente noi non facciamo il male dei nostri assistiti. Del resto, è evidente: la fuga di notizie è un fenomeno che serve per creare consenso intorno all’inchiesta.

 

 

 

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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