Se davvero la «guerra alla Procura di Milano» finisce in nulla
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Se davvero la «guerra alla Procura di Milano» finisce in nulla

Quello che avevamo creduto di capire nello scontro tra Alfredo Robledo ed Edmondo Bruti Liberati. E che ora il Csm, invece, nega sia mai esistito

Scusateci, avevamo sbagliato. Alla Procura di Milano, dalla metà di aprile a oggi, avevamo capito fosse scoppiata una guerra senza esclusione di colpi. Non era così.

Avevamo creduto di capire che l'alto magistrato Alfredo Robledo, nientemeno che un procuratore aggiunto (in ordine gerarchico, il numero 2 dell'ufficio), senza infingimenti e senza giri di parole, accusava davanti al Consiglio superiore della magistratura il suo capo, Edmondo Bruti Liberati, nell'ordine:

1) di avere attribuito illegittimamente ad altri magistrati una serie d'importanti inchieste, tutte «politicamente rilevanti», per il solo motivo che il medesimo capo della Procura, uomo dai lunghi trascorsi nel sindacalismo di categoria e per questo particolarmente abile nella gestione delle correnti giudiziarie e del potere nel suo senso più lato, riteneva in qualche modo più «affidabili» i destinatari delle indagini;

2) di avere indebitamente e gravemente rallentato l'avvio di due o tre inchieste, tutte «politicamente rilevanti», sostenendo in aperti dialoghi che in certi casi fosse meglio non intervenire in certe faccende per motivi di opportunità economica, finanziaria, politica... 

3) di avere rimproverato Robledo, anche per questo autore della denuncia, di «scarsa collaborazione», e di avergli per questo rinfacciato che se era in quell'incarico lo doveva esclusivamente alla sua corrente di appartenenza, Magistratura democratica. In particolare, Robledo aveva denunciato, mettendolo nero su bianco, che Bruti gli aveva detto queste sconvolgenti parole: «Ricordati che al plenum (del Csm, ndr) sei stato nominato aggiunto per un solo voto di scarto, e che questo è un voto di Magistratura democratica. Avrei potuto dire a uno dei miei colleghi al Csm che tu mi rompevi i coglioni e di andare a fare la pipì al momento del voto, così sarebbe stata scelta la Gatto, che poi avremmo sbattuto alle esecuzioni” (Nunzia Gatto, poi nominata procuratore aggiunto a Milano, è effettivamente andata a occuparsi del trattamento dei condannati, ndr)». 

4) di avere tenuto per sé (e poi chiuso in una cassaforte per almeno tre mesi) un fascicolo proveniente dalla Procura di Firenze, contenente elementi che ipotizzavano una turbativa d'asta su una delicata cessione d'azienda da parte del Comune di Milano. 

A sua volta, il procuratore rispondeva al Csm con una serie di accuse: Bruti sosteneva che il suo aggiunto gli aveva sottaciuto di avere personalmente querelato due degli indagati sui quali chiedeva la titolarità delle inchieste aperte dalla procura. Lo accusava anche di avere disposto un doppio pedinamento di un altro indagato e di avere «intralciato le indagini». 

Questo, avevamo capito. Invece no, lo ripeto: ci siamo sbagliati. È stato tutto un equivoco, spiacevole ancorché collettivo.

Perchése tutto questo fosse stato vero, come finora pareva, di certo il Csm (come sembra) non si appresterebbe a chiudere la feroce disputa fra Bruti e Robledo con una serena archiviazione.

È impossibile, non starebbe né in cielo né in terra che l'organo di autogoverno della magistratura, istituto di rilevanza costituzionale, non disponga nemmeno una censura, un trasferimento per incompatibilità ambientale. Non starebbe né in cielo né in terra: perché è evidente che 

Ma certo, è impossibile, ci siamo sbagliati. Perché la giustizia italiana è una cosa seria. Perché lo Stato di diritto è uno dei pilastri del nostro ordinamento democratico. Perché l'obbligatorietà dell'azione penale è un principio incontrovertibile, un caposaldo della giurisdizione.Perché il Consiglio superiore della magistratura è fatto esclusivamente di persone intellettualmente oneste, che rispondono alla legge e non alle spinte delle correnti. Perché il Csm è il baluardo dell'indipendenza dei magistrati e del loro corretto operare, non è un ente dove si patteggiano soluzioni, si insabbiano questioni, si coprono scandali. 

Perché a volte gli asini volano, e noi ancora ci crediamo.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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