Immigrati: una tragedia nazionale
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Immigrati: una tragedia nazionale

Le nostre politiche migratorie sono una forma di analfabetismo politico e sociale di ritorno. Tra governo incapace e parole estreme in libertà

L’Italia come la Giordania? Perché no. Il campo di Za’atari, in Giordania, ha compiuto due settimane fa un anno. Ospita 120mila profughi della guerra siriana su una popolazione complessiva nel Paese di 6 milioni e mezzo. È un’emergenza mondiale. Ma cos’è meglio? Città-campi gestiti dall’Onu o lo stesso numero di immigrati in Italia (solo in parte profughi) disseminati senza controllo su tutto il territorio nazionale? Ecco, forse dovremmo aprire gli occhi e riconoscere che le nostre politiche migratorie sono una forma di analfabetismo politico e sociale di ritorno, una delle tante forme d’analfabetismo di ritorno che affliggono l’Italia e costringono i nostri figli a emigrare (in un movimento specularmente opposto a quello che porta migliaia d’immigrati ogni settimana sulle nostre coste).    

Non ci voleva un genio, infatti, per capire che d’estate ci saremmo ritrovati davanti a una tragedia nazionale. Era l’11 maggio, in pieno trionfalismo di Lady Pesc Federica Mogherini sul successo del pressing italiano per una nuova politica “di condivisione” dell’emergenza migratoria da parte della UE. E proprio in questo blog spiegavo perché a mio parere quei proclami fossero boutade politico-diplomatiche: "Pare che d’un tratto l’Italia abbia ottenuto tutto: quote obbligatorie di profughi in ciascuno dei 28 Paesi dell’Unione, e missioni in Libia per distruggere i barconi. Scommettiamo che nulla di tutto ciò andrà in porto? Fiumi d’inchiostro, mari di parole. E poi? Solo chiacchiere e distintivo. Ma tempi certi di risposta alle richieste di asilo, un programma realistico di distribuzione dei profughi e un vero pugno battuto sul tavolo nei negoziati europei, mai?”.

Chiedo scusa per l’auto-citazione, quel che voglio dire è che era facile immaginare la defezione degli altri Paesi europei, l’avanzamento della spedizione Triton verso la Libia trasformata in una riedizione di Mare Nostrum con bandiera europea, il conseguente incremento di viaggi della morte nel Mediterraneo, e il collasso delle strutture d’accoglienza.

Matteo Renzi, determinatissimo quando ha voluto far votare una riforma elettorale che facilitasse la vittoria del Pd nelle prossime elezioni politiche, non ha avuto lo stesso piglio decisionista sui temi dell’immigrazione: ha fatto la voce grossa in Europa solo per annunciare il recupero del barcone di 700 morti in fondo al mare con l’idea (velleitaria) che la tangibile enormità della tragedia potesse convincere i nostri partner ad assumere decisioni condivise. Peccato che la politica estera sia una cosa seria e non funzioni così.

Quanto alla politica interna, assistiamo a uno spettacolo anche più deprimente. Da un lato un ministro dell’Interno che sta dimostrando tutta la sua inadeguatezza e una politica del governo inefficace, dall’altro un linguaggio estremo che rischia di avere solo motivazioni elettoralistiche ma che cozza con alcune verità. E infatti, mentre il governatore veneto Zaia vorrebbe sgombrare tutti i centri per immigrati in località turistiche e il lombardo Maroni parla di “sparare”, l’Italia dal Lazio in giù continua ad assorbire il numero più alto di profughi.

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Giustamente Zaia osserva che bisogna tutelare il Veneto, prima regione turistica d’Italia e sesta d’Europa (63 milioni di presenze e 17 miliardi di fatturato incluso l’indotto), ma è pur vero che “il Veneto è tra le grandi regioni del Nord quella che ospita meno persone, col 4 per cento (22 in Sicilia, 12 nel Lazio).

È l’oscillazione tra incapacità del governo e parole in libertà a certificare il fallimento della classe dirigente italiana (tutta) di fronte all’emergenza. È inaccettabile che di centomila profughi approdati in Italia si siano perse le tracce. I bivacchi di centinaia d’immigrati esposti a malattie, fame e sporcizia nelle stazioni di Milano e Roma-Tiburtina sono spettacoli da Terzo Mondo. E c’è troppa tolleranza verso i clandestini, che continuano a non essere tutti identificati e a ricevere decreti d’espulsione che finiscono nei cassonetti.

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I comitati locali contro la dislocazione d’immigrati vengono bollati di razzismo (e non c’è dubbio, c’è anche razzismo nell’uso di certe parole o, peggio, in certi modi di pensare), eppure segnalano un problema reale. Bisognerebbe cominciare a porre domande concrete: sparare a chi? Sgombrare chi? Ma anche: accogliere chi?

Se il governo non si affretterà a “prendere provvedimenti”, sarà meglio (e più dignitoso) chiedere l’assistenza dell’ONU per gestire in Italia campi profughi in stile mediorientale.  
 
E infatti l’avevamo scritto un mese fa, l’11 maggio: il piano UE di, a dispetto dei proclami trionfalistici di Lady Pesc Mogherini è un bluff.   

ANSA/ANGELO CARCONI
Centinaia di migranti davanti alla stazione Tiburtina a Roma, 11 giugno 2015

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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