Il vicolo cieco di Matteo Tiradritto
EPA/TIBERIO BARCHIELLI / UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI
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Il vicolo cieco di Matteo Tiradritto

Renzi può anche continuare a ignorare quello che gli accade intorno. Ma poi non si stupisca se il 4 dicembre gli italiani dovessero voltargli le spalle

Ci voleva un renziano convinto e un uomo libero come Oscar Farinetti per poter affermare una verità che, se detta da altri, avrebbe attirato repliche velenose e sfottò gratuiti: "Ve lo dico col cuore" ha detto il fondatore di Eataly alla Leopolda "dobbiamo tornare a essere simpatici. A volte ho la sensazione che siamo diventati un po' antipatici. È normale. Perché chi ha successo o chi governa per qualche anno tende a diventare antipatico".

Peccato che le parole di Farinetti non abbiano fatto breccia nel premier. Che preferisce additare chi la pensa diversamente come un nemico, chi dissente come un sovversivo. Lo stile è immutato e si riassume nella replica infelicissima di Renzi - "Io tiro dritto" - a una battuta altrettanto infelice - "Me ne frego" - fatta dal presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker a proposito delle critiche italiane all'Ue.

Tirare dritto potrebbe essere prova di coerenza, adesione a un programma dal quale non ci si vuole staccare. Peccato però che nella psicologia renziana quelle due parole siano diventate oramai da tempo una sola e disvelino un personaggio sinistro: Tiradritto, che era uno dei "bravi" più temuti di Don Rodrigo (Manzoni scrive che con "lo Sfregiato" era uno "de' meglio"...). Tiradritto può incutere timore, ma in politica è un perdente. Perché evita il confronto, dileggiae mortifica l'interlocutore. Non vuole essere simpatico, tutt'altro. La logica è opposta. E così Renzi è talmente baldanzoso da non capire che la ruffianeria elettorale, già arma letale del Cav nei confronti dei suoi oppositori, è necessaria per un leader in apnea di consensi.

Quel che sfugge all'umana comprensione è che Renzi per primo riconosce di essere "talvolta troppo cattivo, un po' arrogante e talvolta impulsivo". Ma benedetto figliolo, vien da dire, che aspetti allora a cambiare? Quali altri campanelli d'allarme ti sono necessari? Il dilaniatissimo Partito democratico che fu quello del 40 e passa per cento delle europee oggi è alle prese con un'emorragia di consensi: è accreditato dai sondaggi intorno al 30 per cento ed è superato dai Cinquestelle; perfino i telespettatori che incrociano il premier all'ora di cena da Giovanni Minoli preferiscono guardare altro inchiodando la lunga intervista a uno share del 4 per cento.

Matteo Tiradritto può fare spallucce davanti a questi segnali e anche davanti alle riserve di Bankitalia sulla legge di Stabilità; può fregarsene dei pesantissimi rilievi della Corte dei conti o dell'Ufficio parlamentare di bilancio; può intestardirsi in questa sconclusionata guerra all'Europa nella quale non si trova accanto Paesi alleati né a Nord, né a Ovest e men che menoa Est. E può anche continuare così. Non si sorprenda però se il 4 dicembre l'Italia gli dovesse definitivamente voltare le spalle bocciando luie la sua riforma costituzionale (nel senso che è fatta a "sua" immagine) inutile e strampalata.

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Giorgio Mulè