Il ritratto della generazione Gezi Park
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Il ritratto della generazione Gezi Park

Dalle primavere arabe a Gezi Park, passando per Occupy Wall Street: differenze e punti in comune delle proteste che hanno infiammato il mondo. Disordini a Istanbul: foto

Per Lookout news

 

Il ministero del Turismo turco ha scelto uno slogan particolarmente azzeccato per promuovere il proprio Paese: “oltre ogni attesa”. Ma “oltre ogni attesa” è diventata anche la protesta scoppiata nelle ultime settimane in Turchia, con epicentro il Gezi Park di Istanbul, e che sta ormai mettendo in seria difficoltà la premiership di Recep Tayyip Erdogan, ovvero l’artefice del prodigio economico del Paese.

Erdogan, probabilmente, non si aspettava tanta baldanza da parte di quelle migliaia di giovani che si sono schierati contro l’abbattimento degli alberi di un piccolo parco nel cuore europeo di Istanbul e che hanno poi proseguito la loro lotta, in ragione di una serie di valori e posizioni politiche che intendono condividere con il mondo intero ma che sentono di non condividere più con la leadership dell’AKP, Giustizia e Sviluppo, il partito islamico-conservatore di Erdogan.

Già, perché chi si scontra in queste ore con la polizia non è un radicale islamico, anzi. L’Islam, semmai, inizia a diventare un problema nel problema, dal momento che uno dei punti irrinunciabili della protesta è proprio allentare la stretta dei precetti islamici nella vita pubblica. Sembrerà di sminuire il movimento ma, per capire i meccanismi della protesta, è bene ricordare che una delle leggi più invise ai protestanti - e che ha costituito l’innesco della protesta insieme alla determinazione del governo di abbattere gli alberi del Gezi Park - è stata l’odiata legge sul divieto di bere alcol la sera.

L’alcol e le richieste dei giovani
Il provvedimento del governo non solo colpisce ogni tipo di locale ma si estende alle pubblicità di bevande e alla loro presenza nei film e nelle serie televisive, e rischia di portare alla cancellazione di molte licenze. Ciò potrebbe arrestare il boom del settore dei servizi, che nel turismo ha trovato una fonte irrinunciabile di sviluppo e che rappresenta ormai una tendenza di natura strutturale che si accompagna al generale progresso economico.

Ovviamente, non c’è solo questo (e, peraltro, in Europa le restrizioni non sono poi molto diverse). Ma se si riflette sul fatto che la media dei giovani in Turchia è pari a soli 29 anni, è facile comprendere il motivo per cui queste imposizioni siano percepite con crescente fastidio: mica tutti i ragazzi di Gezi Park vogliono defenestrare Erdogan, però quasi tutti si stanno rapidamente abituando al benessere economico e vogliono vivere il boom dell’Europa negli anni Sessanta con la stessa libertà dei popoli a nord-ovest del Bosforo, verso cui la Turchia sente da sempre un’attrazione.

I riferimenti ideologici
Più difficoltoso è riconoscere i riferimenti ideologici della protesta, anche se un suggerimento generico ci viene dalle bandiere e dai manifesti che sventolano sopra le tende delle piazze occupate - che vanno dalle bandiere rosse della Turchia alle bandiere rosse con falce e martello, dal volto di Kemal Ataturk al volto di Che Guevara fino alla “A” di anarchia - e che indossano la stessa maschera di  Guy Fawkes e le stesse maschere a gas che già abbiamo visto in numerose altre proteste.

Se prendessimo singolarmente i rullini dei fotoreporter, scopriremmo forse che quelle raffigurazioni icastiche non differiscono affatto dalle fotogallery delle proteste di Atene, Roma o Londra e che sono a loro più simili di quanto invece siano distanti dalle stesse immagini provenienti da Tunisi, Tripoli o Il Cairo durante le Primavere arabe.

Anche le Primavere - stante il fatto che siano state cavalcate anche da potenze straniere - hanno avuto origine episodica che ha permesso poi un effetto domino in gran parte dell’Islam: il suicidio di Mohamed Bouazizi, un giovane venditore ambulante (classe 1984) che il 18 dicembre del 2010 si diede fuoco a Tunisi per protesta contro i maltrattamenti subiti dalla polizia, di cui lamentava le continue confische di merci.  Un gesto solitario nel contesto di un disagio sociale, dunque.

Mentre le proteste occidentali che sono sfociate nell’anti-sistema e che sono arrivate a teorizzare l’anti-capitalismo hanno avuto origine aggregante sin da subito, carattere politico-economico e sono nate in un altro giardino, forse il più esclusivo del mondo: Zuccotti Park di Manhattan, New York.

Da Zuccotti Park a internet
Quel movimento di protesta del settembre 2011 aveva come riferimento ideologico, tra gli altri, “L’Insurrezione che Viene”, un manifesto anonimo attribuito ai “nove del Tarnac” ovvero studenti francesi appartenenti a una comune, dove si teorizza “il paradosso di una società di lavoratori senza lavoro”. Forse a Gezi Park pochi lo conoscono ma il suo contenuto è potenzialmente esplosivo.

Ad ogni modo, molte sono le differenze tra le Primavere arabe, le proteste di Occupy Wall Street e qwuelle turche. Eppure, uno dei leader di Zuccotti Park, Vlad Teichberg, ha chiarito un aspetto centrale dei meccanismi comuni a tutte le manifestazioni di dissenso contemporanee, in cui si può inquadrare anche Gezi Park: “Abbiamo adottato nuove forme di comunicazione orizzontali, che danno a tutti lo stesso approccio. Quel che è importante è che le persone ora sanno come entrare in contatto l’una con l’altra. E questo cambia tutto. Creando una mente-alveare che però rispetta l’individualità dei singoli. Niente a che vedere con il comunismo. […] Ormai non si può pensare di spegnere internet. è come un genio uscito dalla bottiglia. […] e quando le masse detengono le informazioni è davvero molto difficile per un governo non tenerne conto. E pericoloso, perché solo con la violenza potrà impedire che il popolo ottenga ciò che ora sa appartenergli. […] Non siamo violenti e la violenza della polizia ci rafforza. Però c’è un limite, superato il quale è difficile prevedere come reagiranno le masse connesse”. Sarà un caso che il premier turco, all’alba della protesta di Gezi Park, abbia affermato che Twitter è “una minaccia, una cancrena”?

Inoltre, il radicamento del pensiero laico nella società turca è molto più ampio e radicato di quanto non lo sia in altri Stati a maggioranza musulmana. Forse Erdogan, questo non lo aveva proprio calcolato.

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Luciano Tirinnanzi