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ANSA/GIUSEPPE LAMI
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Il premier sbugiardato da se stesso

La Legge di Stabilità conferma l'incapacità del governo di tagliare la spesa. Preferisce aumentare il deficit creando un artificio politico e contabile

Quando nell’aprile scorso il governo presentò il Documento di economia e finanza (Def), che dovrebbe rappresentare un impegno politico vincolante verso i cittadini, fummo critici perché lo giudicammo poco coraggioso soprattutto su un punto: il taglio delle spesa pubblica o se preferite il taglio degli sprechi.

Dalle mirabolanti promesse di Matteo Renzi del settembre 2014 (Annunciò tronfio: "Rispetto i pregiudizi, ma saremo misurati dai fatti. I tagli non saranno per 17 miliardi, ma ne immagino 20...") nel Def di aprile 2015 l’asticella dei tagli venne fissata a 10 miliardi ma, disse ancora il premier, "pensiamo ci sia un margine migliore, uno spazio per tagliare pari a 20 miliardi". Ora quel numero, nella legge di Stabilità, è precipitato fino a raggiungere un’ipotesi striminzita di 5,8 miliardi di euro: peanuts, direbbero in America, indigeste noccioline da sgranocchiare al cinema piuttosto che l’inutilmente atteso poderoso intervento di quattro volte superiore.

Al tema della razionalizzazione della spesa dedichiamo da anni inchieste e copertine. E documentiamo, sempre, la marea di soldi buttati o spesi a capocchia. A Palazzo Chigi sanno tutto, sanno perfettamente anche dove intervenire. All’uopo si susseguono commissari alla spending review che sfornano dossier, tabelle, documenti analitici. Ma sul più bello invece di tagliare, i commissari finiscono per essere tagliati.

Enrico Bondi e Carlo Cottarelli ve li ricordate tutti e sapete anche come e dove sono andati a finire. Uno degli attuali commissari voluto da Renzi, il professor Roberto Perotti, è sul punto di andare via perché tanto per cambiare la sua lista di tagli non viene attuata. Intendiamoci: l’operazione non è difficile, affatto. Basterebbe un minimo di coraggio. Ma il presidente del Consiglio preferisce aumentare il deficit, aggiungere peso alla zavorra del debito e illuderci di tagliare le tasse.

Non fidatevi delle mie critiche, affidiamoci alle parole del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Che alla domanda sul perché in Italia sia così difficile tagliare la spesa pubblica improduttiva, al Sole 24 Ore risponde così: "Ci sono due motivi. Uno è di ragione standard di politica economica: dietro voci di spesa ci sono posizioni di rendita. L’altro motivo è che bisogna entrare nel merito delle singole voci di spesa". Dunque: non si taglia perché non si riescono a scalfire posizioni di rendita e manca la capacità di tagliare chirurgicamente.

Ma scusate, il callido Padoan che sulla spending review alza bandiera bianca con parole chiarissime non vi pare un valoroso da nominare presidente ad honorem del club dei gufi? La "manovra" che taglia le tasse si rivela per quello che è: un artificio politico e contabile ottenuto grazie a una violazione delle regole che non poggia su alcuna base strutturale. Ce ne accorgeremo presto: basterà fare i conti dei balzelli più o meno nascosti che non diminuiscono ma aumentano.

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Giorgio Mulè