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Il Papa in Africa: la lotta alla strumentalizzazione delle religioni

Al centro del viaggio in Kenya, Uganda e Repubblica Centroafricana il ruolo delle diverse confessioni per la pace contro gli estremismi

"Uccidere in nome di Dio è una bestemmia". Il grido del Papa contro la giustificazione religiosa degli atti terroristici che hanno insanguinato Parigi, a neppure dieci giorni dal suo primo viaggio in Africa, dà la misura di una delle maggiori sfide che il Pontefice deve affrontare da domani in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana: il ruolo delle diverse religioni insieme per la pace anche in Africa, dove il terrorismo si mimetizza nelle differenze religiose oltre che in quelle etniche e tribali.

"Ci aspettiamo che il Papa aiuti a sanare le divisioni e che i momenti interreligiosi aiutino a portare comprensione i credenti di diverse fedi e a sfatare le paure", ha detto James Maria Wainaina Kungu, vescovo di Muranga in Kenya. Il vescovo keniano viene interpellato sul terrorismo religioso nel suo Paese, ricordando la strage di Garissa, dove il 2 aprile 2015 i jihadisti di al Shabaab hanno fatto irruzione in un collegio cristiano, uccidendo 148 persone, quasi tutti ragazzi.

"A Garissa - sottolinea mons. Wainaina Kungu - fu terrorismo e basta: al Shabaab entra in Kenya dalla Somalia e attacca soprattutto i turisti, allora il Kenya è entrato militarmente in Somalia, giacchè vuole rispondere agli attacchi; è terrorismo, la religione non c'entra niente, e comunque non c'è solo Garissa, al Shabaab attacca anche i supermercati, uccide cristiani, indu e islamici".

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Secondo il vescovo keniano, i terroristi di al Shabaab "vogliono mostrare che non si puo' vivere sicuri anche dove c'è sicurezza e controllo dello Stato, vogliono introdurre un elemento di paura".

La Repubblica centrafricana

Nella Repubblica centrafricana, invece, il Papa tocchera' con mano un tentativo significativo di convergenza delle diverse religioni in un programma di pacificazione: è la Piattaforma di cattolici, protestanti e musulmani creata per difendere la popolazione civile nella situazione di incertezza nelle violenze tra sedicenti islamici e sedicenti cristiani.

"Fino al 2012 - racconta Hervè Hubert Koyassambia Kozondo, sacerdote cattolico di Bangui che studia a Roma - i rapporti con l'islam erano stati pacifici, poi hanno cominciato ad entrare nel Paese mercenari dal Ciad, dal Sudan, dal Senegal e dal Mali, come ribelli antigovernativi di religione islamica; era una cosa nuova nella storia del Paese - racconta il giovane prete - ma non era semplicemente una ribellione, erano armate di conquista con forte presenza di mercenari stranieri, hanno saccheggiato le strutture, operato violenze gratuite sui civili, iniziato la distruzione della cultura del Paese, degli uffici amministrativi e dei simboli della nazione, dietro c'è qualcosa di più che una matrice religiosa; comunque da questo è nato un sentimento antimusulmano nella popolazione cristiana che aveva subito una azione programmata conto le sue strutture le sue chiese: tutte le diocesi sono state danneggiate. Da questo sentimento antimusulmano è nato un movimento di resistenza sedicente cristiano: si dicono cristiani, hanno armi russe, e i movimenti di resistenza sono strumentalizzati a livello politico. I vescovi hanno sempre detto che questo non ha niente di cristiano, nè come spinta nè come identità, e senza queste azioni anticristiane non ci sarebbe un odio antimusulmano".

"Abbiamo grandi speranze sulla Piattaforma - spiega il sacerdote centrafricano - ma funziona fino a un certo punto perchè, per esempio, l'imam non ha poteri su questi musulmani aggressivi. Si lavora perchè il Papa possa trovare una situazione migliore e tranquilla, il problema non è se il Papa è sicuro nella moschea, ma se dopo che è uscito il Papa chiunque vi puo' essere sicuro".

Non solo in Centrafrica con Seleka e Balaka, ma anche in Somalia con al Shabaab o in Nigeria con Boko Haram, la strumentalizzazione della religione a fini eversivi è sempre in agguato. I terroristi hanno sempre colpito chiunque osteggiasse il loro progetto: musulmani, cristiani, animisti, e numericamente, ad esempio, fa osservare padre Giulio Albanese, "i terroristi nigeriani hanno ucciso in questi anni più musulmani che cristiani e ogni volta che hanno attaccato cristiani lo hanno fatto perchè sarebbero state riprese dalle testate internazionali e avrebbero avuto risonanza a livello internazionale. La religione perciò rappresenta spesso, in molti contesti, il pretesto per affermare interessi egemonici, contrari al riconoscimento della dignità della persona umana".

I tentativi di dialogo

La storia recente dell'Africa puo' contare su tentativi di dialogo interreligioso per la pacificazione. Nel Novecento nel nord dell'Uganda è nata la ARLPI (Acholi Religious leaders peace initiative), un cartello interreligioso che si è prodigato incessantemente nel ricercare una soluzione non violenta attraverso il negoziato tra i ribelli dell'Esercito di resistenza del Signore (LRA) di Joseph Kony e il governo di Kampala. Anche in Sierra Leone, negli anni Novanta i ribelli del Fronte unito rivoluzionario (RUF) perpetravano crimini indicibili contro la stremata popolazione civile. Ebbene, in quegli anni nell'ex protettorato britannico dell'Africa occidentale, un ruolo significativo nel difficile processo di pacificazione nazionale venne svolto proprio dall'Inter Religious Council of Sierra Leone (IRCSL): leader musulmani, cattolici e protestanti si offrirono come mediatori nelle trattative tra il governo di Freeetown e i ribelli.

La strage di Garissa

Garissa, Kenya, 3 aprile 2015 - Assistenza agli studenti sopravvissuti alla strage all'università EPA/DANIEL IRUNGU

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