Il minestrone indigesto che non piace al Quirinale
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Il minestrone indigesto che non piace al Quirinale

Il decreto omnibus per la riforma della Pa e i rilievi di costituzionalità dei tecnici del presidente. L'annunciomania di Renzi

A ben vedere l'editoriale più arguto, e sintetizzabile in un tratto di penna, lo ha fatto Massimo Giannelli, il vignettista principe del Corriere della Sera. C'è un Matteo Renzi-cameriere  che porta al cliente Giorgio Napolitano, seduto al tavolo, un minestrone indigesto, metafora del decreto monstre (82 articoli e 72 pagine che spaziano dal pubblico impiego fino alla riforma delle invalidità civili, dalle norme anticorruzioni alle mozzarelle di bufala) arrivato al Quirinale il 13 giugno per una prima verifica. «C'è di tutto» dice il premier mentre l'insoddisfatto inquilino del Quirinale  avventore ne vomita il contenuto rispondendo: «Si sente!».

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Un minestrone indigesto, appunto, che così com'è è a forte rischio di bocciatura proprio per i profili di dubbia costituzionalità che i tecnici del Quirinale hanno rivelato in dieci giorni di lavoro, non ravvedendo in molte delle sue parti - troppo disomogenee - quella mancanza dei criteri di «necessità e urgenza» che giustificherebbero un decreto. Per di più, come scrive stamane Marzio Breda, il quirinalista del Corriere, uno dei suggerimenti che i tecnici del Quirinale hanno mosso al governo, per evitare  bocciature postume, è quello di spacchettare in almeno due parti distinte il decreto omnibus, suddividendolo quantomeno in una sezione dedicata ai provvedimenti per favorire il ricambio generazionale nella Pa (che ha già prodotto qualche tensione con i magistrati, preoccupati per i buchi in organico che potrebbe produrre una norma troppo tranchant contro l'abitudine di prorogare il servizio per i giudici ultrasettantenni) e in un'altra sezione volta a conferire più poteri all'Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone che così come delineato dal governo assumerebbe poteri eccessivi, tipici dei «commissari straordinari». Così come appare scivoloso, per il Quirinale, la norma che assegnava al prefetto il compito di assumere la gestione temporanea di un'impresa appaltratrice in odore di corruzione per assicurare l'esecuzione del contratto. Il rischio, in questo caso, sarebbe la catena di contenziosi dovuti a dubbi di costituzionalità (art. 41) che una norma sifatta potrebbe produrre.

Siamo dunque ancora lontani dall'ipotesi di chiudere questa partita, troppe volte data per chiusa, chiamata «riforma della pubblica amministrazione». Non che il Quirinale sia contrario con la ratio del provvedimento omnibus, né intende, essendo il principale sponsor del governo di larghe intese, aprire un confronto duro col governo. E nemmeno il governo ha alcun interesse ad andare al braccio di ferro col Quirinale. Si tratta, come spesso accade, di errori e incidenti istituzionali, per ora, dovuti alla fretta, al bisogno - che attiene anche alla sfera della comunicazione - di portare a casa dei risultati presso l'opinione pubblica. Anche a costo di fare riforme pasticciate e confuse. E questo perché la fretta, come spesso accade  al governo Renzi, è spesso una cattiva consigliera. 

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