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Il grande bluff della "Comunità Islamica"

Perché i musulmani non condannano "in massa" il terrorismo? Perché la convinzione che esista la categoria-nazione dei "musulmani" è sbagliata

In Occidente, nonostante la globalizzazione e le ondate migratorie, la pervasività di social e mezzi di comunicazione, e l’enorme attenzione mediatica verso l’Islam in generale e il Medio Oriente in particolare, la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica sa praticamente poco o nulla del mondo arabo/islamico.

Molti sono convinti che turchi e persiani siano arabi, solo perché in maggioranza musulmani.

Ancor di più sono coloro che non sanno che "Allah" è il termine che usano anche cristiani ed ebrei arabofoni per indicare Dio. C’è chi non sa nemmeno che differenza ci sia tra "musulmano" e "islamico", due aggettivi che sono sostanzialmente equivalenti. Figuriamoci cogliere la differenza che intercorre tra "musulmano" e "islamista".

In un clima del genere, il compito di spiegare l’Islam agli occidentali è ricaduto da una parte sugli accademici, e dall’altra sugli islamisti, ovvero coloro che si stanno servendo della religione come mezzo per raggiungere i propri fini politici (da cui l’espressione "Islam politico").

L'influenza degli islamisti
Molti di questi ultimi infatti hanno trovato rifugio in occidente negli anni '60 e '70, dopo essere scappati dalle dittature laiche del mondo islamico, soprattutto arabo. E per lungo tempo sono stati gli unici referenti della politica, dei media e degli stessi accademici occidentali per spiegare l’Islam.

Questa enorme influenza in Occidente ha contribuito a spianare la strada anche alla re-islamizzazione politica dei paesi laici del Medio Oriente, processo che a sua volta ha rafforzato l’immagine costruita dagli islamisti.


L'immaginario occidentale che non conosce il musulmano laico
Il risultato è che oggi ci ritroviamo con un immaginario occidentale che non prevede l’esistenza del "musulmano laico", percepito come un controsenso.

Basta poco per rendersi conto che i mezzi di informazione occidentali si sono adeguati ai modelli visivi e ai parametri di islamicità stabiliti dall’agenda islamista, che vorrebbe appunto ricreare la "Ummah", la "comunità dei credenti", che si veste e si comporta in maniera uniforme.

Totalitarismo dei costumi
Un totalitarismo dei costumi e del pensiero che annulla le differenze etniche, sociali, culturali che, invece, inevitabilmente distinguono un miliardo e mezzo di musulmani che vivono in paesi che vanno dal Marocco all’Indonesia.

L’immagine stessa della donna musulmana è diventata quella della donna velata. Al punto che, discutendo con un immigrato egiziano e facendogli notare che nei film degli anni 50 non si vede neanche una donna velata, la risposta che mi è stata data fu: “Vero, ma a quei tempi non conoscevano la religione”.

Gli islamisti non solo sono riusciti a cancellare la memoria stessa di un mondo islamico laico, ma sono riusciti, anche grazie alla complicità involontaria della politica, a creare la categoria-Nazione dei musulmani.

Lo stesso Ministero dell’Interno italiano, nell’interfacciarsi con i musulmani residenti in Italia, continua a farlo non sulla base del paese di origine, ma sulla base della  comune fede. Come se gli Stati Uniti invece di trattare con italiani e irlandesi a inizio novecento, avessero deciso di trattare con i “cattolici”.

Il risultato sono tavoli e commissioni in cui siedono coloro che non rappresentano chi dicono di rappresentare, ma che, grazie alla legittimazione dello Stato, si impongono come tali. Eppure sarebbe bastato rendersi conto del fatto che le stesse moschee degli islamisti sono divise su base etnica - quella dei bengalesi, dei senegalesi, dei turchi e via discorrendo - per capire il grande bluff.

La “comunità dei credenti” è solo un buon proposito di fratellanza universale, sancito dall’Islam e auspicato dal Profeta Maometto, ma che di fatti, e con tutta la buona volontà, non esiste sul piano della realtà.

Differenze etniche e rivalità politiche
Uno dei motivi per cui le organizzazioni islamiste non riescono ad accordarsi per raggiungere un’intesa con lo Stato è dato proprio dalle differenze etniche, a cui si aggiungono le rivalità politiche, essendo gran parte di queste organizzazioni strumenti di proiezione del dominio geopolitico sulle comunità immigrate da parte di stati esteri, spesso grazie a finanziamenti che arrivano da una complessa rete di organizzazioni e fondazioni private che permettono al governo coinvolto di non esporsi direttamente.

Questo spiega anche perché “i musulmani” non scendono in massa in piazza per condannare i loro correligionari. Lo fanno, ma non in quanto “musulmani”. Ne è la prova il fatto che, all’indomani della strage di Dacca, in cui trovarono la morte diversi cittadini italiani, a scendere in piazza a Roma, Bologna, Pescara, Gallarate, Monfalcone, solo per fare qualche esempio di una mobilitazione che c'è stata in tutta Italia, furono i bengalesi in quanto tali. E non in quanto musulmani.  Allo stesso modo, quando ci  furono gli attentati in Tunisia, migliaia di tunisini scesero in piazza. Ma lo fecero in quanto tunisini, non in quanto “musulmani”.

L’idea che esista una “comunità islamica” globale che si sente responsabile delle azioni che mercenari e fanatici bengalesi, indonesiani, kazaki, tunisini, algerini etc è una bufala a cui crede l’opinione pubblica occidentale e gli Islamisti.

Una bufala dettata dall’ignoranza che qualifica un miliardo e mezzo di persone solo in base alla loro fede, e che – paradossalmente – fa proprio gioco alle organizzazioni islamiste che ricorrono all’immagine mitizzata di un mondo islamico unificato per guadagnare consensi e potere. Forse è giunta l’ora di rompere quell’incantesimo, smettendola di trattare con i musulmani sulla base della loro religione. Sarebbe il primo passo verso la riaffermazione di un Islam laico anche in Occidente.

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Sherif El Sebaie

Esperto di Diplomazia Culturale, rapporti euro-mediterranei e politiche sociali di integrazione. Nel 2008 viene ufficialmente invitato dal Dipartimento di Stato USA a partecipare all'"International Visitor Leadership Program", un programma di scambi professionali per leader internazionali e nel 2015 è stato scelto dall’Università della Virginia, a seguito di bando, come uno dei 10 Fellow del Simposio Internazionale di Arte Islamica.

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