Guerra all'Isis: la coalizione rimane divisa
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Guerra all'Isis: la coalizione rimane divisa

Il summit tra Obama e i capi militari dei 22 paesi è stato un passo in avanti, ma non ha risolto i problemi. La Turchia non si unisce al coro

Barack Obama ha partecipato solo alla parte finale della riunione. Ha tenuto un breve discorso agli alti ufficiali dei 22 paesi della coalizione in guerra contro l'Isis convocati a Washington dalla Casa Bianca per discutere delle strategia da adottare contro l'esercito islamico. "Sarà un conflitto lungo. Ci saranno progressi, raggiungeremo dei risultati, ma ci saranno giorni in cui saremo costretti a fare qualche passo indietro."  ha detto Obama ai generali riuniti nella base militare dell'Air Force di Andrews.

Il vertice era stato convocato per appianare le divisioni all'interno della coalizione, ma l'obiettivo non è stato raggiunto. La riunione è un passo in avanti, ma non ha risolto tutti i problemi che rimangono ancora sul tappeto. Il più grosso dei quali per Washington si chiama Turchia. Ankara non vuole fare parte del coro. Benché membro dell'alleanza canta una sua melodia, stonata rispetto a quella che vorrebbe sentire Washington.

I turchi bombardano i curdi

La rappresentazione plastica di queste divergenze si è avuta proprio nella sala delle conferenze della base di Andrews: la Turchia non era rappresentata dai vertici dell'esercito, ma da ufficiali di rango inferiore. Una presa di distanza, ben compresa dai padroni di casa: Obama e il capo di stato maggiore delle forze armate statunitensi Martin Dempesy.

Ma, il fatto più simbolico di queste divisioni è stato l'annuncio da parte di Ankara, in contemporanea con il summit di Washington, di voler lanciare dei raid aerei contro le postazioni curde all'interno dei confini turchi.

La Casa Bianca aveva invitato la Turchia a focalizzarsi sulla guerra contro l'Isis e a evitare di portare avanti il suo conflitto contro i curdi, alleati della coalizione contro lo stato islamico. Obama ha ripetutamente chiesto ad Ankara di intervenire per aiutare i curdi assediati nella città siriana di Kobane, ma la risposta è sempre stata negativa. E, ora, addirittura, gli attacchi aerei non contro l'Isis, ma contro i peshmerga.

Gli obiettivi di Ankara

Le priorità turche sono ben diverse da quelle americane. Ankara teme che la sconfitta del califfato porti alla nascita di uno stato indipendente turco nella regione a cavallo tra la Siria, l'Iraq e la Turchia. Per questo rimane con un passo indietro nella guerra contro gli islamici.

E, per questo vuole anche che la coalizione decida cosa fare della Siria. Per Ankara, uno degli obiettivi dell'alleanza dovrebbe essere la destituzione di Bashar al Assad e la sua sostituzione con un governo islamico moderato. Washington non ci sente da quell'orecchio. Obama vuole rimanere fuori dalla guerra civile siriana.

Così la situazione rimane bloccata. E Kobane rischia di cadere nelle mani dell'Isis. Anzi. Il suo destino sarebbe segnato. I curdi avevano chiesto alla Turchia di aprire i proprio confini e far passare le milizie peshmerga provenienti da altre zone della Siria, ma Ankara si è rifiutata di farlo. Senza rinforzi, senza armi pesanti e munizioni, la resistenza curda non può durare a lungo.

I raid aerei della coalizione risultano insufficienti per far cambiare le sorti della battaglia. Nella sola giornata di lunedì mentre i generali della coalizione erano riuniti nella base di Andrews, ce ne sono stati 21 sulle postazioni dell'Isis attorno a Kobane, ma i risultati non sono quelli desiderati.

Turchia (ma anche Arabia Saudita) hanno una visione degli equilibri regionali diversa da quella che ha Washington. Per questo Ankara non si è ancora unita al coro. Se il vertice dei capi militari di Washington doveva essere un tentativo di armonizzare le voci della coalizione, l'intento è fallito. Non sono i militari a dover decidere gli obiettivi politici di una guerra, ma i segnali che sono arrivati da Ankara sono stati ben chiari. Il braccio di ferro continua.




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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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