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Giornalismo in crisi. Noi dalla parte dei lettori

Il direttore di Panorama cerca di trovare un motivo alla crisi dei giornali, aiutandosi con i casi di Bibbiano e di Carola Rackete

I bollettini delle vendite dei giornali, tranne rare eccezioni, registrano ogni mese una flessione che, a seconda delle testate, va dal 5 al 15 per cento rispetto all’anno precedente. In pratica, gli italiani che leggono diminuiscono a vista d’occhio e ormai sono ridotti a una minoranza. A che cosa è dovuta questa fuga in massa dalle edicole, questo rifiuto dell’informazione stampata? Ci ho riflettuto a lungo e vi offro una mia spiegazione partendo da un paio di fatti di cronaca che mi hanno colpito e che, soprattutto, hanno colpito gran parte della stampa.

Il primo riguarda la cosiddetta Capitana, ossia Carola Rackete e il suo carico di migranti. Il caso dei 53 «naufraghi» recuperati dalla Sea Watch 3 davanti alle coste libiche ha tenuto banco per tre settimane. Dal giorno del recupero in mare fino al successivo arresto del comandante della nave della Ong tedesca e alla sua scarcerazione ordinata dal gip, siamo stati travolti da centinaia di articoli su tutti i giornali. Commenti e controcommenti, polemiche e interviste: i fatti sono stati sviscerati in ogni modo, anche con dotte disquisizioni di diritto internazionale.

Dei 53 migranti, della cui salute la maggior parte della stampa pareva preoccupata prima del loro sbarco forzoso nel porto di Lampedusa, una volta a terra si sono perse le tracce e nessun cronista si è curato di raccontare le loro storie e le loro ragioni, se cioè fossero davvero profughi con diritto alla protezione internazionale o clandestini. Segno evidente che il tema ha appassionato le redazioni, ma solo per il braccio di ferro tra il capitano di una nave delle Ong e il ministro dell’Interno, non per le sorti degli immigrati. A nessun giornalista infatti importava un fico secco di chi era stato salvato e perché, ma a tutti o quasi interessava raccontare le gesta della Capitana, la nuova eroina contro il bruto del Viminale, anzi, per dirla con Giampaolo Pansa che sulla questione ha scritto anche un libro, Il dittatore.

Ora, a prescindere da ciò che si pensi di Salvini, credo che una stampa che faccia il tifo per uno straniero contro il proprio governo, mostri semplicemente di non capire chi siano gli italiani, cioè i propri lettori. Carola Rackete non compra i giornali italiani e non lo fanno neppure i 53 migranti, usati ma subito dimenticati nella polemica contro il ministro dell’Interno. Quelli che i sondaggi segnalano come favorevoli a un’azione di contrasto all’immigrazione clandestina, cioè la maggioranza degli italiani, invece sì: sono potenziali lettori. Ma ogni giorno la stampa ci informa che se non si è a favore di un’immigrazione indiscriminata si è trogloditi, beceri, xenofobi, razzisti. In pratica, i giornalisti dicono alla maggior parte dei propri lettori che sono ignoranti e non capiscono niente. Già questo è un valido motivo di rinuncia alla tortura quotidiana di recarsi all’edicola: spendere un euro e mezzo per sentirsi dare del cretino da un tizio che, avendo la possibilità di esprimere opinioni, si ritiene superiore a chi gli paga lo stipendio non è certo un gran incentivo all’acquisto.

Ma adesso vi voglio sottoporre un secondo caso, per spiegare che oltre al complesso di superiorità che sta uccidendo i giornali esiste anche uno strano strabismo. Sul numero di Panorama che avete in mano trovate una dettagliata inchiesta sugli arresti di Bibbiano. Di che si tratta? Di un’indagine della Procura di Reggio Emilia che ha mandato in carcere psicoterapeuti, assistenti sociali e amministratori pubblici con l’accusa di aver creato un sistema che - con diverse responsabilità fra gli arrestati – ha tolto decine di bambini ai legittimi genitori. Un sistema privato finanziato con soldi pubblici che psicologi e operatori sociosanitari alimentavano inventando accuse di abusi sui minori, manipolando i disegni e confondendo i racconti dei bambini anche con l’uso di una macchina a impulsi elettrici. Una storia agghiacciante di cui mi sono occupato nel numero scorso che, nonostante ci siano di mezzo decine di minorenni strappati con l’inganno alle proprie famiglie, non ha avuto lo stesso risalto della Sea Watch 3.

I giornali se ne sono occupati per un paio di giorni, ma già al secondo giorno solo per dare spazio alla difesa degli arrestati. Poi, curiosamente, la stampa ha abbandonato la faccenda. Possibile che i destini di 53 migranti e di una Capitana siano più importanti di minorenni «rubati» ai propri genitori e di 30 indagati per un «traffico» da brividi? Eppure ciò che emerge dagli atti della Procura di Reggio Emilia è inquietante. Inoltre, a voler scavare, si scopre che quanto è venuto alla luce a Bibbiano non è isolato, perché a ripercorrere la carriera di uno degli arrestati, Claudio Foti, si ritrovano altre storie simili, partite con accuse terribili nei confronti delle famiglie e concluse con assoluzioni che avrebbero dovuto indurre a riflettere sugli errori. Da Mirandola a Biella, da Rignano a Salerno, l’inchiesta di Antonio Rossitto vi condurrà in un mondo a cui dovrebbero essere dedicate decine di articoli, con commenti e controcommenti, polemiche e interviste, per domandarsi come sia stato possibile. E invece no, dopo due giorni la grande stampa ha preferito voltare pagina, decidendo dall’alto del suo complesso di superiorità che il caso meritava meno spazio della Sea Watch 3. Poi non c’è da lamentarsi se a voltare pagina, lasciando sul bancone dell’edicola le copie di giornali, sono i lettori.

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Maurizio Belpietro