Cosa resta di Forza Italia senza Denis Verdini
Ansa/Samantha Zucchi
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Cosa resta di Forza Italia senza Denis Verdini

Un pacchetto di voti ancora buono, la capacità di dialogo e un gruppo dirigente giovane e legato a Silvio Berlusconi con cui ripartire

A quanto pare, dopo lunga gestazione, il “soccorso azzurro” alla maggioranza è finalmente pronto a scattare. Deputati e senatori legati a Denis Verdini si sono organizzati, contati e ricontati, hanno perso e ritrovato pezzi, e alla fine hanno partorito anche un nome, “Azione Liberale”.

Curiosi e spesso beffardi, gli itinerari della storia e della politica: due anni fa, quando c’era ancora il Popolo della Libertà, Verdini era il capo dei “falchi”, il più duro contro Alfano e l’ala governativa, quello che più si diede da fare per indurre Berlusconi alla rottura. Oggi, passati due anni, i falchi di allora sono diventati placide colombelle, pronte a spiccare il volo per raggiungere i più miti climi della maggioranza, dove ritroveranno l’odiato Alfano e la sua NCD, che almeno sono stati coerenti nel loro assunto programmatico: stare al Governo, a qualunque costo.

I numeri

Per la verità, finora, il soccorso azzurro si è dimostrato un po’ gracilino. Gli “Azionisti” hanno rotto gli indugi e sono scesi in campo votando per il Governo in occasione del voto finale sulla riforma della scuola, pratica dagli esiti scontati alla Camera, ma imbarazzante per Renzi visto il dissenso della sinistra PD. Qui si è vista la loro potenza fra i Deputati, ben 4 voti: quelli di Luca D’Alessandro, storico portavoce di Verdini, di due deputati toscani che a Verdini devono tutta la loro carriera politica, Parisi e Faenzi, e di uno stimato, anziano giornalista, Giovanni Mottola, finito in quella compagnia per ragioni inspiegabili (forse c’entra una punta di gelosia verso altre penne oggi più considerate).

Dovrebbe andare meglio al Senato (dove Renzi ha davvero bisogno di voti): lì i ”verdiniani” dichiarano 11 senatori (il minimo per costituire un gruppo è 10), ma l’elenco cambia continuamente: gli unici certi, oltre allo stesso Verdini, sono un altro fedelissimo toscano, Riccardo Mazzoni (Verdini ha fortemente colonizzato la sua regione, facendo strage degli oppositori interni), e il poliedrico, pittoresco senatore campano Vicenzo D’Anna, noto per l’oratoria magniloquente in cui mescola citazioni dotte e sgrammaticature popolaresche.

D’Anna, destinato a fare il capogruppo della nuova formazione, si è già portato avanti con i compiti: alle recenti elezioni regionali in Campania ha sostenuto De Luca contro l’azzurro Caldoro (e secondo molti proprio i suoi voti sono stati decisivi) nonostante il PD ufficialmente lo schifi per i suoi mai rinnegati rapporti d’amicizia con Nicola Cosentino.

Anche questo aspetto, d’altronde, lo accomuna – nel suo piccolo – a Verdini: l’ex potentissimo uomo macchina del Cavaliere, essendo passati un po’ di moda Previti, Dell’Utri e Scajola, era diventato il “cattivo” per definizione, l’uomo che tutta la sinistra “perbene” odiava di più, il simbolo stesso del berlusconismo intesto come malaffare, arroganza del potere, intreccio di poteri occulti. E in effetti, anche grazie all’abituale serenità ed equidistanza della magistratura italiana, Verdini ha più capi di imputazione pendenti di Al Capone. Noi qui all’Inferno, che amiamo molto i paradossi della storia, osserviamo con divertita curiosità il perfido Verdini diventare il (presunto) salvatore della sinistra di Governo.

Quanto poi questo possa creare imbarazzi a Renzi, e perdita di consensi fra l’elettorato PD (più lento dell’uomo di Rignano a capire che in politica le cose dette ieri non contano nulla) lo si capisce leggendo le interviste imbarazzate di questi giorni dei dirigenti renziani. La ruvida Debora Serracchiani (versione giovanile di Rosi Bindi nei modi e nell’aspetto, ma non nell’intelligenza politica) per esempio, li accoglie calorosamente: “non impediranno a parlamentari che condividono le riforme del PD di votarle”.

Cosa resta di Forza Italia

E ora, che ne sarà di Berlusconi, lasciato solo anche da Verdini, dopo Fitto e Alfano? Cosa resta di Forza Italia? La risposta è persino banale. Rimane, sostanzialmente, tutto. Rimane la cosa che più conta cioè un pacchetto di voti, che certamente non è più quello dei bei tempi, ma senza il quale ogni ipotesi di ricostruzione del centro-destra è ovviamente velleitaria.

Rimane la capacità di parlare con una serie di leader e pseudoleader che fra loro non si parlano, da Salvini ad Alfano, da Casini alla Meloni. Rimane un gruppo dirigente legatissimo al Capo, e che lavora per un obbiettivo finalmente comune: riprendere l’iniziativa politica senza personalismi. Oltre ai due capigruppo (l’estemporaneo Brunetta e il più serio e politico Romani, quest’ultimo con un rapporto molto stretto con il leader) ne fanno parte i membri del cosiddetto “cerchio magico”, odiatissimi da tutti coloro che se ne sono andati o che se ne stanno andando, dai dirigenti azzurri che per anni si sono identificati in tutto e per tutto con Berlusconi, che grazie a Berlusconi hanno ricoperto ruoli di primissimo piano, non potendo attaccare direttamente lui – per decenza, se non per gratitudine -  al posto suo hanno individuato nel “cerchio magico” l’origine di tutti i mali.

In realtà i membri del cerchio magico hanno alcuni difetti insormontabili: sono relativamente giovani, nei ruoli più significativi ci sono donne, sono molto efficienti, sono tutte persone che non hanno mai fatto il ministro, il sottosegretario, il notabile, ma soprattutto sono diretta espressione di Berlusconi. Non hanno un progetto personale da mandare in porto. E se fossero proprio loro le persone giuste per ripartire?

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Serenus Zeitblom