Fatta la tregua, si può fare la pace. L'Egitto di Morsi riuscirà a far ragionare Hamas?
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Fatta la tregua, si può fare la pace. L'Egitto di Morsi riuscirà a far ragionare Hamas?

Anche Israele dovrà cogliere l'opportunità. In campo Obama, presidente e Nobel per la pace - Le immagini - Obama e Netanyahu - Israele siamo noi - Le vittime innocenti

La “guerra degli 8 giorni” tra Israele e Hamas ha distrutto case, scuole, edifici pubblici e soprattutto vite (152 palestinesi e 5 israeliani), ma ha tragicamente ricostruito le condizioni per uscire dalla crisi permanente. Fatta la tregua, si può ricominciare a pensare la pace. Tutti i protagonisti diretti e indiretti del conflitto israelo-palestinese si trovano oggi nelle condizioni di poter cogliere un’opportunità. Tutto dipende dalla politica che adotteranno il premier israeliano Benjamin Netanyahu e, sull’altro versante, il variegato fronte palestinese a cominciare da Hamas a Gaza. Molto comunque dipenderà anche dalla volontà mediatrice e propositiva del nuovo Egitto di Mohamed Morsi, fratello musulmano come i “fratelli” di Gaza, e della rinnovata presidenza (negli States) di Barack Obama, libero di riannodare le fila di un possibile negoziato.

Hamas, anzitutto. La controffensiva israeliana dopo mesi e mesi di razzi sparati sul Sud di Israele ha ridimensionato (ma non azzerato) il potenziale offensivo dei palestinesi della Striscia. Hamas sa che più di tanto non può ottenere, militarmente, e che la ripresa delle ostilità comporterebbe una immediata reazione israeliana.

Al tempo stesso, il concetto alla base della decisione di Netnayahu d’intervenire è per certi aspetti rivoluzionario: se Hamas è il governo di Gaza, magari non legittimo ma comunque scelto dalla popolazione palestinese e quindi responsabile delle proprie azioni (e delle reazioni altrui), anche la guerra di Israele per difendersi ha una piena legittimità. Questo significa che Israele in qualche modo ha “riconosciuto” l’interlocuzione, seppure militare, con Hamas.

Il più grande ostacolo alla ripresa dei negoziati di pace è stata finora la divisione tra i palestinesi di Gaza e Cisgiordania, tra Hamas (popolare ma estremista e confinata alla Striscia) e Al Fatah (impopolare ma al potere nei Territori e disposta ad avviare colloqui di pace). Se con la mediazione pragmatica dell’Egitto di Morsi sarà possibile riavvicinare le due fazioni nella prospettiva di un percorso autenticamente costruttivo verso un assetto pacifico dell’area, Israele dovrebbe approfittare della “finestra diplomatica” aperta proprio dalla “guerra degli 8 giorni”. E gli Stati Uniti dovrebbero sostenere questo processo con una forte ripresa dell’iniziativa diplomatica (di cui ha dato un positivo saggio la missione-blitz di Hillary Clinton).

In questo quadro, resterebbe come fonte permanente di opportunismo destabilizzatore se non guerrafondaio la politica iraniana a sostegno dei gruppi islamici estremisti. È in corso da tempo, sottotraccia, un braccio di ferro tra mondo sunnita (Egitto, Arabia Saudita…) e sciita (Iran) che si confronta crudelmente in Siria (nell’indifferenza di quegli stessi che hanno gridato al “genocidio in Palestina”), attraversa la storia e alimenta un’altra guerra che si combatte, meno evidente ma anche più cruenta, nel Medio e Vicino Oriente.

Al di sotto di questo tragico “gioco” diplomatico, c’è purtroppo il seme di rabbia e sofferenza che lascia ogni guerra. Emblemi sono il piccolo Abdul Hraman, 2 anni, palestinese, ferito dalla scheggia di un missile israeliano sul settimo piano di un palazzo usato da Hamas per comunicazioni militari, portato d’urgenza all’ospedale dove il padre pediatra, Majdi Naim, lo ha accolto fra le sue braccia impotenti già morto, e a Tel Aviv il piccolo Lev, 7 anni, figlio dello scrittore Etgar Keret, che (racconta il “Corriere della Sera”) sotto le sirene chiedeva aiuto su cosa fare alla nonna scampata al ghetto di Varsavia e al padre urlava: “Perché mi odiano così tanto? Perché vogliono ucciderci?”. Un doppio calvario. In attesa del prossimo Nobel per la Pace (e che Obama onori quello già ricevuto).    

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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