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Yemen: un nuovo Medioriente a guida saudita-egiziana

Riad e Il Cairo guidano la prima forza militare della Lega Araba. Per estendere la propria leadership regionale e isolare Teheran

Di Marta Pranzetti per Lookout news

Dopo il recente forum economico internazionale, Sharm el-Sheikh ha ospitato anche il summit della Lega Araba il 28 e 29 marzo. Riuniti durante i lavori della 26esima sessione, i 22 Paesi membri della Lega (21 se si esclude il seggio attualmente vacante della Siria) hanno raggiunto un accordo di principio sull’istituzione di una forza militare congiunta di contrasto al terrorismo internazionale. Una proposta che l’Egitto di Abdel Fattah Al Sisi accarezzava già da tempo e che si è fatta drasticamente più concreta dopo l’intervento in Yemen della coalizione militare a guida saudita di giovedì scorso.

L’accordo preliminare annunciato domenica 29 marzo, nel quale si attesta l’intenzione comune di far fronte all’instabilità regionale anche attraverso questo contingente di difesa multinazionale, rappresenta solo il primo step di un iter più lungo. Quattro mesi sono previsti dall’accordo per raccogliere e valutare suggerimenti e riserve di ogni Stato membro relativamente alla composizione, agli obiettivi e al budget di tale forza multinazionale, prima di sottoporre la proposta definitiva al Consiglio di Difesa congiunto della Lega Araba.

Nonostante l’adesione unanime alla risoluzione istitutrice del contingente arabo, si sono palesate immediatamente divergenze di ordine procedurale e di principio. Il Ministro degli Esteri iracheno, Ibrahim Al-Jaafari, ha infatti espresso le riserve del governo di Baghdad (sciita) relativamente al ruolo che tale forza assumerà (a difesa degli interessi sunniti). Ma costituiranno sicuramente un problema ulteriore anche le proposte sulla leadership e sugli oneri – ove è presumibile ritenere che il principio del “chi garantirà cosa” avrà la meglio nel regolare tali questioni.

Il ruolo di Egitto e Arabia Saudita
L’Egitto, finora più convinto sostenitore della creazione della forza multinazionale, dispone dell’esercito più grande e meglio armato della regione. Su questa base appare evidente che Al Sisi miri a guadagnarsi un ruolo chiave all’interno del contingente arabo, mettendo a disposizione le proprie risorse militari. Come l’Egitto, anche l’Arabia Saudita, che dispone di armamenti e truppe sofisticate e altamente tecnologiche, assumerà un ruolo centrale, come ha d’altronde già fatto in Yemen. Ma occorre soffermarsi sulla duplicità di intenti che questa possibile gestione bifronte potrebbe implicare.

L’intento principale del presidente Al Sisi sembra, infatti, quello di riassegnare all’Egitto la forza e la centralità che il nasserismo panarabo gli aveva assicurato negli anni Sessanta, mirando al contempo a mettere fuori gioco tutte le spinte terroristiche, estremistiche e insurrezionali all’interno dei confini nazionali e regionali. La lotta allo Stato Islamico e alle sue affiliazioni in Nord Africa appare non a caso al centro delle sue arringhe a sostegno dell’istituzione di tale forza militare congiunta.

D’altro canto è invece l’Iran il principale obiettivo del Re saudita Salman bin Abdullaziz Al Saud che aderisce all’iniziativa del contingente arabo con lo stesso entusiasmo con cui il suo Regno ha sempre sostenuto il Peninsula Shield Force (il corpo militare di difesa comune istituito dai Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo nel 1984). Nell’ottica saudita appare evidente che il nuovo contingente arabo potrebbe rappresentare l’estensione del Peninsula Shield a protezione della stabilità e della sicurezza dei sunniti nella penisola arabica e nell’intera regione mediorientale contro la “crescente aggressività” dell’Iran. Ancor più che, appena asceso al trono, Re Salman cerca fervidamente la sua dose di affermazione nel contesto nazionale e regionale.

Il test in Yemen
Ma il “nuovo ordine mondiale” che si prefigge la Lega Araba (o almeno qualcuno dei suoi Capi di Stato più interessati alla supremazia regionale) dovrà prima superare il test dello Yemen. L’accordo sulla creazione di una forza araba congiunta si concretizza, infatti, mentre la coalizione anti-Houthi a guida saudita porta avanti la sua offensiva militare in territorio yemenita. Dal 26 marzo scorso, quando è stata lanciata da Re Salman su esplicita richiesta del presidente yemenita Abd Rabbo Mansour Hadi, con il placet di Washington e con l’adesione di Bahrain, Qatar, Emirati Arabi, Kuwait, Egitto, Marocco, Giordania, Pakistan e Sudan, la campagna militare in Yemen ha colpito diversi avamposti dei ribelli golpisti.

Secondo fonti locali citate da Le Monde sarebbero state colpite le posizioni dei miliziani sciiti a Jebel Al-Hahdeine e quelle dei soldati della Guardia Repubblicana fedeli all’ex presidente yemenita Ali Abdallah Saleh (alleati nel recente colpo di Stato con le milizie houthi) alle porte di Sanaa. Anche Marib (140km a est della capitale) sarebbe stata colpita nei raid aerei della coalizione mentre nell’ovest del Paese gli obiettivi raggiunti sono stati basi militari houthi a Hodeida e Mokha.

Un contingente per la Libia?
L’operazione Tempesta decisiva, stando al segretario della Lega Araba Nabil Al-Arabi, durerà fino alla completa resa dei ribelli houthi e al loro ritiro dai territori conquistati. Sebbene risulti altamente improbabile che la nuova forza araba congiunta veda la luce in tempo per intervenire in Yemen (quantomeno ci si augura che l’offensiva in corso possa concludersi nel giro di poco minimizzando le perdite umane civili o militari che siano), è invece possibile che questo nuovo organo militare possa servire gli interessi di Al Sisi in Libia. Già in passato l’Egitto e gli Emirati Arabi hanno bombardato postazioni islamiste in Libia e non è escluso che, se i negoziati mediati dall’ONU continueranno a rivelarsi infruttuosi minando quindi indirettamente la sicurezza del vicino Egitto, Al Sisi possa decidere di intervenire contando sul nuovo contingente arabo anziché sulle sue sole forze.

Così, mentre annega ogni speranza di soluzioni politiche ai tanti focolai di crisi che affliggono il Nord Africa e il Medio Oriente, sembra farsi strada la convinzione che l’unica risposta alla violenza sia altra violenza.

 

Yemen in fiamme

Yemen: la città di Sana'a dopo i bombardamenti dell'aviazione saudita, 26 marzo 2015 EPA/YAHYA ARHAB

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