Turchia: il nuovo governo ad interim di Erdogan
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Turchia: il nuovo governo ad interim di Erdogan

In vista delle elezioni ancipate previste per il 1° novembre il presidente turco apre ai nazionalisti e soffia sul fuoco della paura del Pkk

di Giuseppe Mancini per Lookout news

La Turchia ha finalmente un nuovo governo, ma a brevissima scadenza. Visto che le forze politiche presenti nel parlamento appena eletto non sono riuscite a formare una coalizione nei 45 giorni previsti dalla Costituzione, il presidente Recep Tayyip Erdogan è stato obbligato a sciogliere l’Assemblea nazionale e a indire nuove elezioni per il primo novembre.

 

Il nuovo governo, sempre presieduto dal primo ministro Ahmet Davutoglu e dominato da ministri dell’AKP (Partito Giustizia e Sviluppo), molti dei quali presenti nella compagine uscente, avrebbe dovuto avere come particolarità – sempre prevista dalla Costituzione – l’inclusione di rappresentanti di tutti i partiti. Il premier ha interpretato la norma in modo politicamente accorto, scegliendo esso stesso i deputati ritenuti compatibili con l’azione di governo: ha inviato undici lettere di nomina, ha avuto però solo tre risposte positive. I posti vacanti sono stati assegnati a dei tecnici o a politici indipendenti.

 

Nonostante il bilancio numericamente negativo, quello politico è invece straordinariamente in attivo. In effetti, era già noto che i deputati del CHP kemalista (Partito Popolare Repubblicano) avrebbero rifiutato la proposta. Lo ha fatto anche l’ex leader del partito Deniz Baykal, il cui ritorno al ministero degli Esteri, dopo vent’anni, avrebbe creato non pochi malumori all’interno della propria formazione. Com’era altrettanto noto il desiderio dell’HDP filo-curdo (Partito Democratico del Popolo) di entrare per la prima volta al governo con due suoi rappresentanti, che hanno ricevuto i dicasteri degli Affari Europei e dello Sviluppo: un evento apparentemente di portata storica, che va però ridimensionato in virtù delle circostanze molto particolari. Si tratta di una scelta obbligata, di certo non politica.

 

A destare grande scalpore è stata invece la decisione controcorrente di Tugrul Turkes: figura di spicco del MHP (Partito del Movimento Nazionalista) e figlio del leggendario fondatore del partito Alparslan, che è diventato vice premier tra gli strali del segretario Devlet Bahceli e minacce (credibili) di espulsione. Se consideriamo anche la nomina a ministro della Cultura dell’ex leader del BBP (Great Union Party) sempre nazionalista, la strategia dell’AKP per riconquistare la maggioranza parlamentare e tornare al potere con un monocolore appare evidente: attrarre i voti nazionalisti persi il 7 giugno, addirittura alleandosi – se ne sta parlando insistentemente – col Partito della Felicità (islamista). Nel clima di tensione creato dai rinnovati scontri con i terroristi del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), potrebbe rivelarsi quella vincente.

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