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Alex Wong/Getty Images
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Trump mette i bambini in gabbia e i cattivi in Paradiso

Il presidente, senza opposizione, ormai può permettersi qualsiasi politica, e aprire la campagna elettorale di Midterm esibendo bambini prigionieri

Perché Donald Trump faccia una cosa è una domanda pleonastica. La risposta, ormai dovremmo averlo imparato, è contenuta nella domanda stessa: perché è Trump.

Questo vale anche per la squallida e sconvolgente vicenda dei bambini migranti separati dai propri genitori e rinchiusi in gabbie di metallo all’interno di lager detentivi? Sì, ma fino a un certo punto, o meglio fino a un certo limite, e questo limite si chiama civiltà.

Messico: bambini separati dai genitori alla frontiera | video

È passato molto tempo da quel 1979 quando l’America si commuoveva per un film come Kramer vs. Kramer, con al centro della storia un bambino dal caschetto biondo conteso da due genitori nella benestante New York City, tributando pioggia di Oscar e di lacrime commosse.

Nell’America profonda del Texas e dell’Arizona, o del Midwest, dove Trump piace, oggi va in scena un film diverso. È qualcosa che coinvolge tutta la storia americana ed è riassunta nelle parole drammatiche di un altro cineasta, Michael Moore, che ha detto: “Trump is us”.

Noi (americani) siamo Trump perché, ragiona Moore, è tutta la nostra storia a dircelo: dalle violenze sugli indiani passando per la schiavitù, dall’indulgenza verso i preti pedofili sino alla cultura delle armi libere, da sempre l’infanzia è stata vittima dei valori americani wasp.

Ma per Trump tutto questo è accademia. Il Presidente, toccherà chiamarlo così per altri due anni e se i Dem non si svegliano per altri sei, parla al suo elettorato e non teme sgambetti congressuali dai Repubblicani. La sua promessa non mantenuta di costruire un Muro col Messico, a spese dei messicani, è il non detto di questa battaglia tra civiltà e inciviltà.

Il fantomatico muro - ma non ci stancheremo mai di ripetere che di muri ne esistono già tre (Texas, Arizona e California) più il Sonora Desert in Arizona, un muro naturale che come il nostro Mediterraneo è il cimitero dei migranti, là dei messicani - è il vuoto nella narrazione di un Trump sin qui vincente, in economia come in politica estera.

Trump ha capito meglio di qualsiasi avversario la logica dei social media. La divisione idiota tra buonisti e cattivisti (un neologismo quest’ultimo esteticamente da vietare…) è fondamentale alla sua gestione del potere. Con sottile psicologia di massa Trump riesce a ribaltare il dramma dei migranti messicani e centramericani sui Democratici e sulla legislazione precedente, troppo tenera e appunto buonista.

Volendo responsabilizzare i genitori, additati come criminali congeniti (qui il razzismo assume i toni della genetica), Trump scagiona se stesso e chiede nella prospettiva delle elezioni di Midterm una rinnovata fiducia. La avrà, se un tweet oramai vale più di un ragionamento e se l’alternativa politica al trumpismo ancora non s’intravede all’orizzonte.

Accade anche in Europa: la politica ignora che i migranti non possono venir scoraggiati da misure repressive, perché le condizioni che ne determinano il viaggio dai paesi di origine sono spesso peggiori. Mutatis mutandis quando i migranti dell’Aquarius hanno visto le navi della Guardia Costiera italiana pronte a riceverli per portarli a Valencia, hanno pensato fossero i libici e piuttosto che tornare in quell’inferno, alcuni hanno tentato di buttarsi in mare.

Quindi pensare che l’eco dei bambini rinchiusi in gabbia raggiunga le province disperate dell’America Latina è un’illusione. La linea dura di Trump non parla ai migranti, parla dritta ai suoi, usando parole che il suo elettorato vuole sentire e condivide senza se e senza ma.

L’America viaggia dunque verso le elezioni di medio termine ancora più spaventata di come affrontò le presidenziali del 2016, e l’esito sembra scontato. Come sempre, e non solo negli Stati Uniti, pagheranno gli ultimi, ma stavolta anche gli innocenti per la gioia dei cattivisti che ogni giorno si ritrovano più numerosi, anche nell’Italia neo salvinizzata sul modello Trump.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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