Tel Aviv città aperta (non solo ai gay)
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Tel Aviv città aperta (non solo ai gay)

Il sindaco laburista Ron Huldai racconta a Alessandro Cecchi Paone il segreto del successo della città israeliana

di Alessandro Cecchi Paone

"Gerusalemme prega, mentre Tel Aviv si diverte". Se questo detto israeliano è vero, lo si deve soprattutto alla comunità gay, lesbica e transgender internazionale che ha ormai eletto la «città che non dorme mai» a nuova capitale mondiale del turismo arcobaleno. Soprattutto in questi giorni di giugno, in cui premono più del solito, al controllo passaporti dell’aeroporto Ben Gurion, mescolati a uomini d’affari, geni dell’informatica, ebrei della diaspora in visita ai parenti, famiglie ortodosse piene di bambini, ragazzi e ragazze omosessuali di ogni genere e tipo. Accorrono alla Gay week più gettonata del nuovo millennio.

Sono 17 anni che Tel Aviv ospita con tutti gli onori la comunità Glbt internazionale. E sono 17 anni che ne è sindaco Ron Huldai, laburista, origini polacche, infanzia in un kibbutz da cui ha preso il cognome ebraico. Generale di brigata dell’aviazione, dopo aver combattuto nelle guerre dei Sei giorni e del Kippur, è laureato in storia e management ed è un ex dirigente scolastico.

Lo abbiamo incontrato in esclusiva per Panorama.

Sindaco, è una coincidenza che il Gay pride si svolga a Tel Aviv dall’anno della sua prima elezione al municipio?

In effetti no. Ho voluto l’apertura immediata al mondo gay per riportare la mia città alla sua identità originaria di capitale del sionismo realizzato, liberale, democratico, egualitario e laico. Il segnale doveva essere chiaro: qui tutti dovevano poter trovare il loro posto, la libertà e dignità, la ricerca della felicità e del benessere, indipendentemente da sesso, etnia, religione, convinzioni politiche, stile di vita e orientamento sessuale. Mai più discriminazioni, come ricorda uno dei pochi monumenti al mondo, che abbiamo fatto erigere in piazza Rabin, in memoria delle vittime omosessuali dell’Olocausto.

Impostazione facilmente condivisa dal resto del mondo politico?

I partiti israeliani si dividono sulle ricette economiche, sulla politica estera, sulle trattative territoriali, non sui principi costituzionali di fondo. Per esempio sono anni che dirigo una coalizione di cui fa parte Kadima, la corrente del partito conservatore Likud fondata da Ariel Sharon. Lei stesso ha visto negli anni passati che ad aprire la Gay parade ci sono sempre, con me e i miei assessori, anche molti ministri dei governi di destra di Nethanyau. Sui diritti civili siamo tutti sostanzialmente d’accordo.

Non proprio tutti. Lei è stato più volte nel mirino sia dei rabbinati ortodossi sia dei partiti religiosi tradizionalisti.

È vero. Nel 2009 c’è stata una richiesta di impedire il Gay pride, nel 2012 si è tentato di vietare la circolazione dei mezzi pubblici di sabato in onore dello Shabbat ebraico. Ma abbiamo tenuto duro, con l’appoggio della maggioranza delle forze politiche, e alla fine la Corte suprema ci ha dato ragione. Lo Stato di Israele è laico, Tel Aviv ne è la vetrina, e anche grazie a quelle vittorie è diventata una New York del Medio Oriente dove si può vivere, mangiare, lavorare, divertirsi a qualsiasi ora di qualunque giorno.

Da quando lei è sindaco la fascia dei residenti fra i 18 e i 35 anni è raddoppiata. Come si spiega?

In 52 chilometri quadrati abbiamo concentrato scuole, università, centri di ricerca, aziende hi-tech, istituzioni culturali e poli di creatività artistica che attraggono i giovani israeliani, ma anche molti talenti stranieri, che sanno di trovare qui le condizioni migliori per studiare, lavorare, divertirsi, sperimentare, vivere come meglio preferiscono. Siamo una specie di città campus.

Avete appena vinto la prima edizione del premio internazionale per la Smart city migliore del mondo. Come avete fatto?

Siamo da molti anni la città dell’innovazione nell’hi-tech, delle app di successo, del maggior numero di nuovi brevetti annuali. Ci siamo riusciti perché ci sforziamo di offrire ai giovani talenti l’ambiente più adatto al loro modo di vivere e di lavorare. Siamo una città dove si è sempre connessi: grazie alla piattaforma Digitel garantiamo il servizio wifi gratuito a tutti e in ogni luogo. E un collegamento costante fra residenti e amministrazione, con l’aggiornamento in tempo reale sui trasporti, i servizi, gli adempimenti burocratici e fiscali, ma anche sulle proposte culturali e sugli spettacoli, con relativi pacchetti speciali e sconti per l’acquisto online.

Lei cita continuamente talento, tecnologia e tolleranza come ingredienti del successo virtuoso della sua Tel Aviv. Di fatto ha messo in pratica la ricetta del sociologo Richard Florida per garantire l’ascesa delle nuove classi creative e per favorire nuovo sviluppo economico e umano. Nella «cool» Tel Francisco, o Silicon Wadi, come molti la chiamano , non c’è posto per gli anziani e per le famiglie tradizionali?

Ho 70 anni, sono sposato, ho tre figli e sette nipoti. Preoccupandomi della qualità della mia vita e della mia famiglia, dove tutte le classi di età sono rappresentate, mi preoccupo del benessere di ogni cittadino, quale che sia la sua posizione anagrafica, il suo status familiare, il tipo di legame affettivo di coppia o genitoriale. Per esempio garantendo agli anziani la miglior assistenza sanitaria e costruendo tanti asili nido quanti mai in passato.

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