L'onore offeso di Nassirya
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L'onore offeso di Nassirya

4 Carabinieri superstiti alla strage denunciano come siano state concesse onorificenze a chi non ha avuto ruoli di rilievo e chi ha quesi perso la vita è stato considerato poco e male

Medaglie mai assegnate a chi le meritava, ma concesse ad altri soldati solo per aver fatto niente di più del proprio dovere. Benefici prima riconosciuti e poi tolti da un giorno all’altro. Promesse rimaste parole al vento. A 16 anni dalla strage di Nassiriya le ferite sono ancora aperte. Quattro carabinieri - che per sempre resteranno segnati dall’attacco kamikaze del 12 novembre 2003 - hanno inviato a Panorama una lettera aperta, un vero «J’accuse».

Ricordiamo prima di tutto quell’evento tragico. La base Maestrale che ospita la sezione logistica della Multinational specialized unit (Msu) a Nassiriya, 360 chilometri a sud-est di Baghdad, viene colpita da un attacco terroristico. Un camion cisterna kamikaze con 300 chili di esplosivo scoppia davanti all’edificio base presidiato dai Carabinieri, forzando il cancello d’entrata e proseguendo la corsa sino alla palazzina di tre piani che ospitava il dipartimento logistico italiano. Prendono fuoco i mezzi militari parcheggiati nel cortile e anche il deposito munizioni: feriti e morti ovunque. Il bilancio delle vittime è di 28 morti, di cui 19 italiani e 9 iracheni, ai quali si aggiungono 58 feriti.

Coloro che hanno scritto la lettera al nostro settimanale sottolineano che, subito dopo la strage, «tutti si sono affrettati, politici, importanti cariche dello Stato e generali, ad annunciare, (...), provvedimenti di promozione, medaglie e onorificenze per il “ruolo” svolto e come riconoscenza per le gravi ferite subite (…) Orbene, semplicemente nulla è accaduto!». L’appello è firmato da Vittorio De Rasis, Paolo Di Giovanni, Cosimo Visconti e Antonio Altavilla, quattro dei 19 feriti gravi dell’attacco. Per le vittime dell’attentato è stata realizzata la Croce d’onore attribuita ai caduti e a chi ha un’invalidità superiore all’80 per cento, come appunto tre dei quattro firmatari del «J’accuse» inviato a Panorama.

«Nulla agli altri, ma nel corso degli anni senza destare attenzione sono state, invece, attribuite onorificenze e medaglie di alto valore a militari che hanno preso parte alla missione Antica Babilonia nelle varie fasi, ma anche ad alcuni presenti al momento dell’attentato del 12 novembre ancorché lievemente feriti o rimasti assolutamente indenni perché distanti al momento dell’esplosione» lamentano i carabinieri in congedo.

Di Giovanni era nella palazzina al momento dell’esplosione, vicino al sottotenente Giovanni Cavallaro, che è deceduto. «Ho perso la funzionalità del braccio sinistro, una scheggia mi ha perforato il polmone e ho avuto un’emorragia interna. Non dimenticherò mai la distruzione e il terribile silenzio che ho trovato quando sono uscito dall’edificio» racconta a Panorama il brigadiere capo in congedo.
Sul sito del Quirinale si può leggere l’elenco delle onorificenze concesse per la missione in Iraq. Ben 155 riguardano «An Nassiriya», ma quasi tutte sono elargite per fatti accaduti dopo la strage. «La lettura delle motivazioni è disarmante da parte di chi ha pagato con il sangue un contributo altissimo, talvolta ridicole e irricevibile risulta il tentativo di esaltare fatti o posizioni che chi ha operato sul territorio ben conosce e mai potrà credere a una scenata immensa» scrivono i carabinieri feriti nell’attentato.

Così, medaglie al merito sono state concesse a chi portava «aiuti finalizzati alla ricostruzione della provincia di Dhi Qar e ad alleviare le sofferenze della popolazione locale» facendo semplicemente il proprio dovere «con generosa dinamicità», ma non certo sotto il fuoco. Un altro decorato ha ricevuto la medaglia al merito per la «grande capacità di coordinamento e controllo» dalla sala operativa - non in prima linea - durante uno scontro ingaggiato da un reparto della missione Antica Babilonia.

I firmatari della protesta puntano il dito contro le onorificenze ad alti gradi che hanno «trasformato normale attività istituzionale in atto eroico». Al contrario, chi le ha concesse è rimasto «silente davanti a un solo e unico atto eroico appurato anche dal processo (per la strage di Nassiriya, ndr): quello del sacrificio del carabiniere Andrea Filippa che nonostante fosse certo della sua morte, a distanza di pochissimi metri dal camion (imbottito di esplosivo, ndr) in arrivo, ha aperto il fuoco ed evitato il totale crollo della palazzina e quindi la morte di tutti noi (…). Nessuno lo ha considerato per una medaglia al valor militare».

Il luogotenente in congedo dell’Arma, Vittorio De Rasis, non si separa mai dalla foto che lo ritrae riverso sul cassone posteriore di un fuoristrada col volto insanguinato. Gli iracheni lo stanno portando di corsa all’ospedale in gravi condizioni. «Mi accade di rivivere l’incubo della strage almeno quattro, cinque volte al mese» dice. «Vedo i caduti come Filippo Merlino, che dopo l’esplosione mi si avvicina barcollando, ma non ce la farà. O l’amico Cosimo Visconti gravissimo, che è sopravissuto». E il militare ricorda molto bene i colpi sparati con l’arma in dotazione «da Andrea Filippa, che grazie alla sua reazione ha fatto esplodere prima il camion». A questo carabiniere hanno dato la Croce d’onore e la medaglia delle vittime del terrorismo, «che non sono paragonabili a quella al valor militare» lamenta De Rasis. I familiari dei caduti chiedono l’alta onorificenza per tutti.
Nella lettera aperta a Panorama, i quattro soldati sollevano il velo sulle operazioni «combat» della missione di pace in Iraq, rimaste nascoste per motivi politici. «Situazioni di contrapposizione e guerriglia con elementi ostili, tutti documentabili (…) anche con foto e video che hanno lasciato morti e feriti a terra ma di cui non bisognava fare parola» si legge nel testo. De Rasis ricorda quando con la sua squadra è andato a liberare Enzo, un italiano legato ai servizi segreti che era stato arrestato dalla milizia del partito sciita Dawa al Islamya.

La lettera aperta elenca ancora gli scontri maggiori, quasi tutti taciuti all’opinione pubblica. «Gli innumerevoli conflitti a fuoco avuti dalle squadre dell’Unità di manovra (acquartierata nella palazzina oggetto dell’attentato), l’attacco a diverse unità presso la sede del comando di polizia locale con l’incendio del mezzo dei carabinieri e del personale rumeno, la battaglia alla fabbrica del ghiaccio, la liberazione di ostaggi (…) fino allo scontro per il pagamento delle pensioni».
E aggiunge un particolare scabroso sulla reazione degli iracheni: «Non possiamo dimenticare quanti il 12 novembre subito dopo l’esplosione, nonostante il persistere di un altissimo pericolo, si sono prodigati o solo hanno evitato di sparare sulla popolazione che si era riversata nella base non soltanto per aiutare ma anche per depredarla di tutto, comprese le armi dei colleghi ormai deceduti».
I quattro carabinieri gravemente feriti si chiedono «perché tutto questo è stato cancellato? Perché solo alcuni sono stati insigniti dell’Ordine militare e delle medaglie (…) pur non avendo compiuto azioni di rilievo?». E dopo la memoria della strage, si riallacciano all’attualità: «Lo stesso meccanismo utilizzato nell’erogazione di encomi a pioggia solo per alcuni ruoli di “rilievo” è una prassi». Il riferimento è ai 130 encomi solenni, un record assoluto, concessi dal precedente ministro delle Difesa, Elisabetta Trenta. Roberta Pinotti, un’altra donna che ha guidato il dicastero, ne ha concessi solo una trentina in quasi cinque anni.

Per Trenta non è mancato l’encomio «last minute» firmato il 5 settembre scorso, un attimo primo dell’arrivo del nuovo ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Destinatario è il colonello Francesco Greco, capo della Pubblica informazione e comunicazione, «per la preziosissima e leale collaborazione assicurata ai vertici del dicastero».

Greco viene citato dai feriti di Nassiriya nella seconda parte della loro lettera che parla dei benefici previdenziali prima concessi e poi cancellati. «A oggi è sceso un assordante silenzio, il colonnello Greco incaricato di seguire la cosa non risponde più al telefono e nuove richieste inviate al neo ministro della Difesa sono cadute nel vuoto» sottolineano i carabinieri. La beffa è chiara: «A un certo punto il ministero della Difesa decide (...) di non erogare più le pensioni privilegiate ai feriti, sostituendole con emolumenti privi di alcuni benefici che hanno costretto alcuni militari a dover restituire le somme percepite».
Il governo Berlusconi le aveva concesse, ma poi nel 2010 le ha revocate per chi veniva gestito dalla Difesa, tagliando cifre che variano da 300 a 600 euro mensili a seconda del grado e dell’anzianità di servizio. A differenza dei feriti che sono di competenza dell’Inps.
Nel 2018, «l’allora ministro della Difesa Elisabetta Trenta, sollecitata dalla presidenza della Repubblica, riceve alcuni militari a un tavolo tecnico per risolvere la questione» scrivono ancora i carabinieri. Uno dei partecipanti è Di Giovanni: «Dopo timide ammissioni di alcuni e risposte riluttanti di altri, si chiudono i lavori con la promessa di mettere fine all’evidente amputazione di benefici». Il tempo passa e il colonnello Greco viene indicato come referente, ma le promesse non hanno seguito. Di Giovanni commenta amaro: «Non ci si può permettere di prendere in giro chi ha pagato un prezzo sulla propria carne».

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Fausto Biloslavo