Sottomarino argentino scomparso, le cose da sapere
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Sottomarino argentino scomparso, le cose da sapere

Il San Juan è sparito al largo della Patagonia. Persa la speranza di trovare vivi i 44 membri dell'equipaggio. Anche la Marina italiana coinvolta nelle ricerche

(Articolo del 20 novembre 2017, aggiornato il 1° dicembre 2017)

Nessuna speranza per l'equipaggio del sottomarino argentino Ara San Juan. Due settimane dopo la sua sparizione nelle gelide acque dell'Atlantico del Sud, la Marina militare argentina ha annunciato ufficialmente che esclude ogni possibilità di trarre in salvo i 44 membri del sommergibile. "Si è già superato il doppio del tempo previsto dai protocolli internazionali per trarre in salvo l'equipaggio di un sottomarino", ha detto il portavoce della Marina, capitano Enrique Balbi. Le ricerche proseguiranno, ma come operazioni per ritrovare il San Juan e non per affrontare la possibile missione di salvare l'equipaggio.

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Col passare delle ore la scomparsa del sommergibile argentino ARA San Juan assume i contorni di un vero e proprio "giallo". Del mezzo militare con a bordo 44 membri di equipaggio si erano perse le tracce mercoledì 15 novembre, mentre si trovava nell'Oceano Atlantico meridionale, al largo della Patagonia. Immediate le ricerche, senza risultati, fino ai 7 tentativi di contatto radio registrati sabato 24 novembre, ma sui quali successivamente la Marina argentina ha mostrato di nutrire dubbi.

La speranza è che comunque il personale a bordo del battello possa essere ancora vivo e che il sommergibile sia appoggiato sul fondale in attesa di soccorsi.

Ma come si interviene in questi casi? Quali i precedenti? "Le nostre capacità di intervento come Marina Militare italiana sono esattamente identiche a quelle di americani e inglesi, ma è naturale che i primi ad arrivare sul posto saranno loro, per motivi di tempo" spiega a Panorama.it il Capitano di Fregata Giampaolo Trucco, Capo Nucleo Informazione del Comsubin, il Comando Subacquei e Incursori della Marina Militare.

Il fattore tempo

Dall'ultimo contatto radio vero e proprio con il sommergibile argentino è scattata una ricerca serrata, che tanto ricorda la famosa Caccia a Ottobre Rosso: a differenza del celebre film interpretato da Sean Connery e ispirato al romanzo di Tom Clancy, non ci sono (o non ci sarebbero) trame internazionali né clima da Guerra Fredda. Del sommergibile argentino semplicemente si sono perse le tracce, presumibilmente dopo un guasto tecnico, come un incendio, un black out o un problema elettrico. I tentativi di chiamata registrati sabato, hanno inizialmente fatto escludere che si fossero surriscaldate le batterie, provocando l'emissione di un gas clorato, mortale per gli esseri umani. Ma non è certo che i segnali siano giunti dal battello, dunque è ancora una lotta contro il tempo.

Le ricerche e il coinvolgimento dell'Italia

In campo per primi i mezzi brasiliani, che hanno chiesto la collaborazione di Stati Uniti e Gran Bretagna. Anche la Nasa è impegnata nella localizzazione del San Juan, che stava tornando da una missione di routine da Ushuaia, nell'Oceano Atlantico, verso la base di Mar del Plata, a 400 km a sud di Buenos Aires. "Nel coordinamento di tutte le attività di ricerca e soccorso per il sommergibile argentino c'è anche un ufficiale italiano sommergibilista, in forza all'organizzazione ISMERLO (International Submarine Escape and Rescue Liaison Office), ovvero l'ente internazionale con sede a Northwood in Gran Bretagna che si occupa di ricerche e soccorso per i sottomarini" spiega il Capitano di Vascello Decio Trinca, del Reparto Sommergibili della Marina Militare italiana.

Come intervenire sul sommergibile

"Una volta localizzato il sommergibile sinistrato, la prima cosa da fare è portare aria ai membri dell'equipaggio, per aumentare le possibilità di permanenza all'interno. Lo si fa attraverso delle manichette, che devono essere collegate al sottomarino da operatori subacquei (in grado in scendere fino a 300 metri), o tramite scafandri rigidi articolati pilotati dall'interno da un palombaro, come l'ADS (Atmospheric Diving System) in dotazione anche alla nostra nave Anteo; oppure ancora attraverso veicoli robotici filoguidati" - spiega ancora Trucco - "Una volta stabilizzato, si cerca un contatto con le persone all'interno: in questo caso saranno i subacquei a battere meccanicamente sullo scafo, attendendo una risposta attraverso appositi codici. Poi si procederà con le manovre per riportare in superficie l'equipaggio".

Come si salva l'equipaggio

"Ci sono diverse modalità: si può usare un minisottomarino di salvataggio, che è un veicolo autonomo di 12 metri, che viene sganciato da una nave in superficie e, grazie al sonar, si posiziona sul portello del sommergibile. Una volta messi in comunicazione gli ambienti interni del veicolo di soccorso e del battello, si procede con il passaggio del personale nel minisommergibile. La Marina ne ha in dotazione uno, l'SRV 300, a bordo di Nave Anteo, in grado di riportare in superficie fino a 12 naufraghi alla volta, dunque basterebbero 4 viaggi per salvare i 44 membri del San Juan" prosegue Trucco.

"Altrimenti si può intervenire con la campana Mc Cann che può scendere fino a 120 metri (quella americana fino a 600) e che funziona come una sorta di ascensore con una capienza massima di 8 persone, muovendosi in verticale grazie a un proprio cavo agganciato al sommergibile". Il battello argentino si troverebbe a una profondità di 70 metri, dunque entrambe le opzioni sarebbero valide.

Le difficoltà meteo

A rendere più difficili le operazioni di ricerca e dunque poi anche di intervento sono le condizioni meteo, con onde alte fino a sei metri e forti venti. "Il problema è anche quello di disporre di un'adeguata unità navale, che dia supporto agli operatori subacquei, oltre al fatto di avere competenze, esperienza e mezzi all'avanguardia" spiega Trucco. Un altro fattore importante è l'inclinazione alla quale potrebbe trovarsi il battello sul fondale, che potrebbe rendere inutilizzabili mezzi come la campana Mc Cann, insieme alla pressione interna, che in alcuni casi può complicare le operazioni.  

I precedenti italiani e stranieri

Un precedente famoso è quello del sottomarino russo Kursk, affondato nell'agosto del 2000 nel Mare di Barents, a oltre 100 metri di profondità: "Anche l'Italia mise a disposizione i propri palombari e l'attrezzatura meccanica, ma Mosca non ritenne di accettare l'aiuto" spiega Trucco. In quel caso morirono oltre 100 persone di equipaggio, 20 delle quali per asfissia dopo diverse ore, e tutti uomini. A bordo del San Juan, invece, c'è anche una donna: Eliana Maria Krawczyk, 34 anni, la prima ufficiale sommergibilista in 71 anni di storia della Marina argentina.

Nel 1939, invece, il sommergibile Squalus, fiore all'occhiello della Us Navy, affonda al largo del New England: 33 membri dell'equipaggio vengono salvati in modo miracoloso grazie al capitano Swede Momsen, che poi diventerà l'inventore proprio della campana Mc Cann.

"Anche la Marina Militare italiana ha una sua storia di eroismo, che ha visto protagonista il palombaro Alberto Gianni nel 1916, al largo della Spezia, dove salvò da solo tutto l'equipaggio del sommergibile S3, colato a picco a 34 metri di profondità durante il collaudo. A bordo c'erano 40 membri di equipaggio: dopo ore e ore di immersione il subacqueo si svegliò in ospedale con una classica malattia da decompressione che lo rese sordo. Da questo episodio gli venne in mente di inventare una macchina, che chiamò Cassa disazotatrice, oggi nota come Camera di decompressione o iperbarica", che è usata per ossigenoterapia sia per i subacquei con problemi di decompressione dopo immersioni, sia per altre patologie, trattate quotidianamente all'interno della Base della Spezia anche su civili.

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Eleonora Lorusso