Siria: tutte le ragioni del ritiro delle truppe russe
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Siria: tutte le ragioni del ritiro delle truppe russe

Con il rientro dei soldati Mosca anticipa tutti in vista dei negoziati. Ma, dietro a questa scelta dello zar, ci sono anche precisi calcoli di bilancio

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L’annuncio russo del ritiro militare dalla Siria è stato corredato dai dati forniti dal ministro della Difesa di Mosca Sergei Shoigu sugli obiettivi raggiunti. In sostanza, oltre all’uccisione di 2.000 miliziani jihadisti e 17 comandanti, la distruzione di molteplici centri di comando e il taglio delle vie di rifornimento dalla Turchia: in entrata armi e munizioni, in uscita petrolio di contrabbando.

 L’annuncio del ritiro è giunto opportunamente a ridosso dell’avvio dei negoziati a Ginevra, a rinsaldare un’immagine della Russia che agisce in rispetto e a salvaguardia del diritto internazionale e degli enti preposti a dirimere le situazioni di crisi e conflitto.

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La posizione di forza con cui ora il governo siriano andrà a trattare è l’esatto rovescio di quella che aveva prima dell’intervento russo. Ora a essere in difficoltà sono infatti le forze di opposizione, già divise al loro interno e sempre più in difficoltà sul piano militare.

 Il ritiro delle truppe russe è una mossa politicamente vincente e ad effetto sull’andamento dei negoziati di Ginevra. La Russia potrà condurli dalla posizione di forza di chi è intervenuto per sistemare le cose, e ritirarsi una volta sistemate. Per l’andamento dei negoziati a discapito degli islamisti, dunque per evitare che la Siria divenisse un Paese governato da un regime fondamentalista wahabita – pertanto assai peggiore rispetto alla dittatura laica e secolarizzata del presidente Bashar Assad – la mossa è certamente positiva.

Il ruolo delle milizie jihadiste
La mossa della Russia lascia però in sospeso il problema dell’eliminazione della minaccia islamista wahabita rappresentata dai qaedisti di Jabhat Al Nusra, Ahrar al Sham, Fronte Islamico e Stato Islamico. I primi sono ancora presenti ad Aleppo e nelle montagne del distretto di Idlib a ovest, mentre l’ISIS controlla l’est della Siria dove ha sede la sua capitale siriana Raqqa.

 Oltre ai 2.000 miliziani jihadisti uccisi, molti altri pare abbiano aderito all’amnistia promossa dal governo siriano in cambio della deposizione delle armi. Nel mentre che le truppe governative e, soprattutto, le sue parallele milizie volontarie, si vanno rafforzando sull’onda di questi successi. Alla luce di queste dinamiche, forse a Mosca sono arrivati a ritenere che queste forze possano essere sufficienti per sradicare dalla Siria quelle milizie di foreign fighters – i siriani erano in stragrande maggioranza nelle milizie che hanno aderito alla tregua – finanziate e sostenute come loro massa di manovra geopolitica da Regni del Golfo e dalla Turchia.

L’altra ipotesi è che a Mosca ritengono che una volta raggiunti degli accordi condivisi con USA e ONU, le milizie jihadiste non avranno più una ragione d’essere politica e verranno pertanto abbandonate dai loro sponsor. Il futuro di queste milizie non è un argomento da poco, perché il loro mancato annientamento le lascerebbe libere di spostarsi per portare altrove guerra e destabilizzazione, seguendo gli interessi di uno o più padroni. Come è avvenuto fino dalla guerra in Afghanistan.

 

Le ragioni economiche del ritiro della Russia
Tornando invece ad altri possibili motivi alla base del ritiro russo e del guadagno strategico conseguito da Mosca con l’intervento in Siria, una delle spiegazioni possibili rimanda alle difficoltà di bilancio del Cremlino e al peso su queste della guerra in Siria.

 Alla fine di febbraio è comparsa la notizia di un piano di Mosca per aggirare le sanzioni emettendo obbligazioni governative (3 miliardi di dollari a 10 anni), dato che le sanzioni colpiscono individui e aziende, ma non direttamente lo Stato. Obbligazioni che sarebbero acquistate proprio dalle principali banche USA (Bank of America, Goldman Sachs, Morgan Stanley e altre).

 L’annuncio del ritiro dalla Siria non è solo quindi necessario politicamente per influire sui negoziati, ma rappresenta anche una obbligata decisione per evitare il tracollo finanziario del bilancio della Russia. In pratica, si tratta di un compromesso tra risultati raggiunti e riduzione di spesa.

Nei risultati raggiunti va ascritto il procurato fallimento del piano che avrebbe consentito ai finanziatori del regime change contro Assad (USA, Arabia, Qatar, Turchia e Israele) di mettere le mani sul ricco piatto del Bacino del Levante, estromettendo la Siria, la Russia e l’Iran.

Gli idrocarburi del Mediterraneo orientale sono stimati in 345 migliaia di miliardi di metri cubi di gas (solo quello egiziano di Zhor è di 850 miliardi) e in 3,4 miliardi di barili di petrolio, abbastanza per giustificare ben più di una guerra.

 

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(Il giacimento di gas di Zohr al largo delle coste egiziane scoperto da ENI/Lookout) 

 

L’area in cui risiedono le riserve di gas nel Mediterraneo orientale è prospiciente le coste di Israele, Libano, Siria, Turchia, Cipro. L’abbattimento di Assad avrebbe portato a sauditi e qatarioti la parte siriana e, al contempo, avrebbe indebolito le pretese del Libano (sorretto da Assad) e di Cipro (sostenuto dalla Russia che vi ha una base, e contrastata dalla Turchia che ne occupa abusivamente la parte nord) e avrebbe messo fuori gioco Mosca (cacciata dalla sua base siriana di Tartus) e l’Iran (alleato di Assad).

 Lo stop al regime change siriano ottenuto dall’intervento russo cambia ora completamente la prospettiva. Assad, o per lui un altro leader alawita che potrebbe sostituirlo, gestiranno la parte siriana del Bacino (la regione alawita è proprio quella costiera della Siria), e anche il Libano avrà la fetta che gli spetta, mentre la Russia vi parteciperà con le sue aziende estrattive, e Cipro sarà rafforzata dalla joint venture con Damasco e il Cremlino. Di converso la Turchia non potrà farla da padrona, come avrebbe voluto e ottenuto se fosse riuscito il piano di abbattere Assad.

Prospettive future
I perdenti di oggi in Siria tenteranno di giocare altre carte. Anche se il rinsaldamento della posizione russa, che vigila su quel pezzo di mare da Cipro e dalle basi aereo-navali in Siria, rendono ciò ormai molto difficile. Stabilizzata l’area, il gas del Mediterraneo orientale arriverà in Europa e passerà assai probabilmente dall’Italia. Il che dà il quadro delle alleanze e delle proiezioni geopolitiche indispensabili al nostro Paese e che il governo del premier Matteo Renzi sta seguendo.

 Qualcuno tenterà in ogni modo di dirottare queste proiezioni per tenere l’Italia in una condizione di sottomissione politica ed economica. D’altronde, per gli alleati atlantici e per la Germania, che mantiene il predominio in Europa, un’Italia votata al Mediterraneo e a Oriente rischierebbe di diventare un concorrente troppo temibile.

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