Siria, "Il mio compito era documentare la morte", la mostra di Caesar
Peter Horree / Alamy/Olycom
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Siria, "Il mio compito era documentare la morte", la mostra di Caesar

Fino al 9 ottobre al Maxxi di Roma gli scatti trafugati di un ex ufficiale di polizia siriano che ha documentato le torture nelle carceri del regime di Assad tra il 2011 e il 2013

Lo shock, la presa di coraggio, la delusione: si potrebbe riassumere così la parabola di Caesar, nome in codice di un fotografo forense, ex ufficiale della polizia militare siriana, grazie al quale il mondo sta scoprendo gli orrori perpetrati nelle carceri del regime di Bashar Al Assad, in Siria.

Lo shock è causato dalla scoperta dei corpi di civili siriani barbaramente seviziati e uccisi a Mezze, in provincia di Damasco, nel cosiddetto “ospedale 601”.

Fino a marzo del 2011 Caesar aveva lavorato come fotografo in scene di crimini collegati a personale dell’esercito, ma dopo l’inizio delle proteste popolari e della feroce repressione gli è stato assegnato il compito di fotografare l’intero processo di detenzione e uccisione dei prigionieri. 

caesar-siria-foto-maxxiUn'immagine della mostra al Maxxi: Nome in codice: Caesar. Detenuti siriani vittime di tortura, ottobre 2016Maxxi - Roma

Caesar rimane scioccato da quanto vede e vorrebbe disertare, ma viene convinto da alcuni amici attivisti per i diritti umani a non lasciare la sua posizione e a iniziare a salvare di nascosto tutte le fotografie.

Questo archivio, oltre 55mila scatti fatti inizialmente solo da Caesar, poi da altri colleghi, offre un sostegno documentario senza precedenti rispetto ai crimini perpetrati dal regime di Damasco.

Caesar è consapevole dei rischi che corre in prima persona e delle ritorsioni che potrebbe subire la sua famiglia se fosse scoperto, ma è motivato a far sapere al mondo di questa barbarie. Resiste fino all’agosto del 2013, poi riesce a disertare, portando con sé il suo archivio. Da quel momento è un condannato a morte per il regime siriano. Le sue foto sono vagliate da agenzie internazionali che ne attestano l’autenticità. Chi le ha viste le ha definite persino più cruente di quelle del Ruanda o della Liberia.

Iniziano così le indagini internazionali su questi crimini e si dà l’avvio alle prime inchieste, che permettono di identificare centinaia di vittime e di informare le loro famiglie. Parigi, su richiesta del Ministero degli Esteri, ha aperto un’inchiesta sulla base di queste foto per “crimini di guerra”.

L’8 febbraio 2016 il Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu analizza il rapporto sui crimini perpetrati contro i detenuti da parte del governo siriano, dell’Isis e di Jabhat al Nusra e dichiara: “La commissione determina che il governo siriano ha commesso i crimini contro l’umanità di assassinio, stupro o altre forma di violenza sessuale, tortura, sparizione forzata e altri atti inumani”.

Le vittime sono insegnanti, attivisti non violenti, studenti universitari, liberi professionisti. Ci sono donne, bambini, anziani, giovani, sunniti, cristiani. Un intero popolo, in tutta la sua complessità. Tra di loro ci sono anche Jihad Qassab, ex difensore della nazionale di calcio siriana, morto sotto tortura nel carcere di Sednaya e Rana Bahlawy, studentessa di ingegneria arrestata nel 2013 per il suo impegno civile.

Dall’archivio di Caesar vengono estratti alcuni scatti che costituiscono una mostra, già esposta al Palazzo delle Nazioni Unite di New York, al Congresso Usa, al Museo dell’Olocausto di Washington e nelle principali città europee.

Per la prima volta l’esposizione arriva anche in Italia grazie ad un’iniziativa promossa da Amnesty International, Articolo 21, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, la Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontariato, Un Ponte Per e l’Unione delle Università del Mediterraneo.

L’onorevole Laura Boldrini aveva negato il consenso a ospitare la mostra nelle sale della Camera dei Deputati per “la crudezza delle immagini”.

Caesar viene definito un giusto, che rischia la sua vita per amore della Siria e della verità. Il suo è un impegno apolitico, in favore dei diritti umani. Caesar grida al mondo ciò che ha visto, ma il mondo sembra non rispondere.

“L’ex fotografo siriano, racconta Moaz, del Caesar Team, è molto deluso per lo stallo in cui è rimasta la comunità internazionale. Ciò che denunciano quegli scatti non è passato, non è finito, ma è ancora in corso. È assurdo che il mondo veda e non agisca. Caesar non chiede nulla, solo che vengano salvate le vite delle persone ingiustamente incarcerate, che continuano a subire ogni forma di tortura”.

(Pur avendo a disposizione le immagini terribili di Caesar, abbiamo preferito non pubblicarle, Ndr).

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Asmae Dachan