Siria, Amnesty: le impiccaggioni degli oppositori di Assad
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Siria, Amnesty: le impiccaggioni degli oppositori di Assad

Tredicimila esecuzioni, decine di migliaia di morti: la descrizione di Saydnaya, il carcere per dissidenti, nell'ultimo report choc dell'organizzazione umanitaria

Dai cinque ai tredicimila oppositori del regime di Bashar Al Assad sono stati impiccati nei primi cinque anni di guerra nella famigerata prigione di Saydnaya su ordine dei veritici del governo siriano. Ma le vittime complessive del periodo che intercorre tra la fine del 2010 e la fine del 2015, morte per tortura o per stenti nel carcere speciale dove sono tuttora rinchiusi i dissidenti, sarebbero molte di più, quantificate dall'ultimo report  di  Amnesty International in decine di migliaia.

Dopo il decesso i loro corpi, scrive l'ultimo report denominato Human Slaughterhouse , venivano trasportati ogni martedì mattina, prima che sorgesse l'alba, in due fosse comuni situate nei sobborghi di Damasco.

Secondo il rapporto di Amnesty, è assai probabile che altre migliaia di oppositori siano stati fatti sparire anche dopo la fine del 2015, la data termine del rapporto. Il report si basa sulle testimonianze di almeno quattro ex guardie, decine di ex detenuti del carcere, un giudice militare che avevano lavorato nella prigione.

Se appoggiavi un orecchio al pavimento, potevi sentire un suono simile a un gorgoglio. Durava circa 10 minuti. Dormivamo sopra alle persone che soffocavano a morte. Alla fine, era diventata una cosa normale


Secondo le testimonianze i processi militari della durata di cinque minuti che  si tenevano una o due volte alla settimane all'interno delle mura del carcere portavano all'impiccagione di una media di 20-50 detenuti a singolo processo. «Non c'è ragione per ritenere che da allora (dalla fine del 2015, ndr) le impiccagioni si siano fermate»  ha dichiarato Nicolette Waldman, l'estensore del rapporto Amnesty. Che ha anche lanciato, carte alla mano, un'accusa eloquente ai vertici del regime: «Le sentenze capitali venivano controfirmate dal ministro della Difesa, su indicazione di Bashar Al Assad. È una politica di sterminio sulla quale è impossibile sostenere che il regime non fosse stato informato». Secondo la Waldman, le tredicimila persone impiccate a Saydnaya di cui scrive il rapporto Amnesty non rientrano tra gli undicimila detenuti uccisi in Siria tra il marzo 2011 e l'agosto 2013 documentati da un fotografo forense soprannominato Caesar che aveva lavorato per la polizia militare siriana. 

Saydnaya è la fine della vita, la fine dell’umanità

Le uccisioni a Saydnaya avvenivano secondo un  macabro rituale di morte. A coloro che dovevano essere impiccati, secondo le testimonianze raccolte da Amnesty, veniva detto che sarebbero stati riuniti nel centro di raccolta del famigerato edificio rosso per essere trasferiti in un'altra prigione. Venivano portati invece nei sotterranei di un edificio bianco a qualche centinaia di metri dalla prigione dove venivano torturati e percossi, dopodiché venivano portati innanzi a una corte militare. L'impiccagione avveniva sempre tra mezzanotte e le tre del mattino. Secondo le testimonianze le impiccagioni avvenivano spesso nei sotterranei sotto le celle affinché tutti i detenuti potessero ascoltare le urla.

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Il mattatoio del carcere siriano by cidigi on Scribd

Il calvario dei prigionieri in realtà, quand'anche non concludeva con la morte, iniziava subito dopo l'arresto. I detenuti hanno riferito tutti di un ciclo di pestaggi senza fine durante il viaggio dopo l’arresto, nel transito tra i centri di detenzione,  all'arrivo nella prigione dove era sistematicamente organizzata, al loro arrivo,  «la festa di benvenuto». Maltrattamenti con tubi di plastica, bastoni di silicone e mazze di legno erano all'ordine del giorno.

Molti detenuti che hanno parlato con Amnesty sono stati ustionati con acqua bollente e bruciati con le sigarette. Altri sono stati forzati a restare in piedi nell’acqua per poi subire scariche elettriche. «È stato come se una parte della mia anima fosse morta … dopo quello, non avevo alcuna gioia, alcuna risata» ha detto uno studente sottoposto a elettrocuzione. Alcune tecniche di tortura usate erano così comuni da avere il loro nomignolo. Il «tappeto volante» significava che la persona eralegata ad una tavola pieghevole con la faccia in su. Lo  «pneumatico» prevedeva che il detenuto fosse infilato con la forza in uno pneumatico di un camion, con la fronte pressata nelle ginocchia o nelle caviglie, e selvaggiamente picchiata. Anche le violenze sessuali, nei confronti di donne e uomini, erano frequenti. «Quello che abbiamo scoperto» ha aggiunto Waldman «va oltre, per brutalità, qualsiasi cosa che abbiamo documentato finora».

Da quando è scoppiata la guerra, nel 2011, sono morte circa quattrocento mila persone, per lo più civili, e metà della popolazione è sfollata o riparata all'estero.

Il grafico della prigione lager realizzato da The Guardian

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