Se crolla l'Egitto
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Se crolla l'Egitto

Perché un Sinai in mano agli islamisti provocherebbe un altro conflitto arabo-israeliano e minaccerebbe la pace mondiale - Il punto di M. Ventura - Lo spettro islamista

L’escalation degli eventi in Egitto fa temere il peggio. E da più parti si ventila la malaugurata ipotesi della “guerra civile”. Al momento è e rimane appunto un’ipotesi, si spera irrealistica, ma dal momento che lo hanno minacciato i Fratelli musulmani, lo temono i loro oppositori, e lo ha dichiarato persino il presidente russo Vladimir Putin, vale la pena prenderla in considerazione.

SINAI
Che cosa accadrebbe se la situazione davvero precipitasse? Innanzitutto la penisola del Sinai sfuggirebbe del tutto al controllo del governo del Cairo, rischiando di diventare una specie di emirato islamico autonomo, che oltre a provocare seri problemi alle forze armate egiziane, darebbe filo da torcere al vicino israeliano.  Già dal 2011 il Sinai soffre i ripetuti attacchi dei jihadisti che sembrano agire indisturbati e che ora sperano di scatenare il caos nella remota provincia egiziana. Negli ultimi giorni un attentato ha colpito il gasdotto che collega l'Egitto alla Giordania: si tratta dell’undicesimo attacco del suo genere. Gli islamisti hanno inoltre ucciso cinque militari e un prete copto. Proprio la minoranza copta, dieci milioni di persone, pagherebbe caro il prezzo della guerra civile, e verrebbe probabilmente spazzata via da un genocidio.

CANALE DI SUEZ
Un Sinai in mano agli islamisti rappresenterebbe un pericolo sostanziale per la sicurezza dello stato ebraico che potrebbe quindi decidere di intervenire militarmente ed occupare un territorio già invaso nel 67. Un conflitto di queste proporzioni metterebbe a rischio il transito del canale di Suez, punto chiave per i trasporti marittimi e le spedizioni di petrolio dal Golfo Persico per l'emisfero occidentale (un precedente c’è: dopo la Guerra dei sei giorni, nel giugno 1967, il canale rimase chiuso fino al 5 giugno 1975).
La chiusura del Canale (basterebbe anche un solo attentato ad una superpetroliera), avrebbe un impatto economico rilevante: le navi dovrebbero circumnavigare l'Africa, con un aggravio dei costi e un allungamento dei tempi di consegna. Il prezzo del petrolio schizzerebbe, con nefaste ricadute sull’economia dei paesi occidentali che verrebbero anche travolti da un’ondata epocale di immigrazione dal paese più popoloso del mondo arabo.
Non si esclude tra l’altro che la necessità di proteggere l’alleato israeliano e per evitare che l’Egitto si trasformarsi in una fucina del terrorismo internazionale (con rischio, nel lungo periodo, di ricadute sull’intero mondo islamico e di attentati anche in Occidente), che nel conflitto vengano trascinati gli Stati Uniti e i loro alleati europei. Un Egitto stabile è e dovrebbe essere una delle priorità strategiche per la pace mondiale. Già oggi una forza ONU staziona in modo permanente sul confine con Israele, e un eventuale conflitto potrebbe coinvolgere per primi proprio i soldati delle forze multinazionali, come accaduto più volte in Libano.

RISCHIO CRAC
Il deterioramento della situazione economica che deriverebbe dalla combinazione mortale di assenza del turismo (con gravi danni al patrimonio archeologico) e perdita dei ricavi del canale farebbe immediatamente fallire l’Egitto, un paese che ha bisogno di valuta estera per far fronte ad una massiccia importazione di cibo e che già oggi sembra avere solo sei mesi di vita secondo la banca d'affari Merryl Lynch. La carestia e le epidemie riuscirebbero quindi a quel punto a dissolvere quanto potrebbe sfuggire alla guerra. Un destino che la comunità internazionale dovrebbe assolutamente impedire ad un paese protagonista della storia universale.

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Sherif El Sebaie

Esperto di Diplomazia Culturale, rapporti euro-mediterranei e politiche sociali di integrazione. Nel 2008 viene ufficialmente invitato dal Dipartimento di Stato USA a partecipare all'"International Visitor Leadership Program", un programma di scambi professionali per leader internazionali e nel 2015 è stato scelto dall’Università della Virginia, a seguito di bando, come uno dei 10 Fellow del Simposio Internazionale di Arte Islamica.

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