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Putin in Siria: la strategia della propaganda

La guerra per rinforzare il potere in Russia, dove l'economia peggiora e il consenso dipende molto dal nazionalismo. Il ruolo di freno spetta alla Nato

Lo aveva raccontato anche la nostra inviata in Siria. Tra le strade dei piccoli paesi devastati da cinque anni di guerra folle e violenta sono due le bandiere che ricoprono macerie, case distrutte, piccoli anfratti di una nuova pseudo-normalità quotidiana: il volto di Vladimir Putin e quello di Bashar al-Assad.

Sono loro gli eroi dei siriani, il presidente russo in cima a tutti. Ha mandato soldati, truppe e consentito il passaggio dei cordoni umanitari. L'America? Il presidente Barack Obama? Non pervenuti.

- LEGGI QUI il reportage in Siria della nostra inviata

Questa è la strategia putiniana. Mendace. Agisce con la guerra in Siria, per tentare il recupero di consensi in Russia. Dove, sebbene sia ancora un leader incontrastato, qualcosa inizia a scricchiolare.

Come racconta l'Economist di questa settimana, visti da vicino i risultati di Mosca in Siria sono debolissimi: l'Isis è ancora lì, il cessate il fuoco è fragile, il tavolo di Ginevra non ha portato a nessun accordo sostanziale, e soprattutto Vladimir Putin ha esaurito una delle principali fonti di propaganda. Il presidente russo ha creato uno scenario di guerra ad arte, approfittando della situazione siriana, per convincere i suoi cittadini che la Russia è ancora oggi una superpotenza. Lo ha fatto prima in Ucraina e poi ad Aleppo. 

Ora la vera domanda per l'occidente è: dove organizzerà la prossima tragica messa in scena?

Il calo di consensi
La situazione economica russa è di gran lunga peggiore di quella di 16 anni fa quando Putin prese il potere. Il petrolio, che genera 1,1 trilioni di dollari di esportazioni ha perso il 75% del suo valore, le sanzioni europee seguite alla guerra in Ucraina hanno fatto la loro parte e gli standard di vita dei russi sono notevolmente peggiorati: il salario medio a gennaio del 2014 era 850 dollari al mese, un anno dopo era crollato a 450 dollari.

Putin ha perso credibilità e nel tentare il recupero, ha spostato l'attenzione della sua gente sulla "superpotenza": ha parlato di annessione della Crimea, di ridare alla Russia i confini persi con il collasso dell'Unione Sovietica. Ha investito 720 miliardi di dollari nel riarmo. Ha fatto di tutto per far sembrare la Russia ancora l'unica vera grande rivale degli Stati Uniti d'America.

E in questi anni ha funzionato: il consenso verso Putin è ancora molto alto, raggiunge l'80%, molto al di sopra di quanto ottengono altri leader europei. Ma ora qualcosa sta cambiando.

Alcuni sondaggi hanno chiarito che l'approvazione alla strategia putiniana sulla Russia è in calo dal 61% al 51% attuale. I russi sono stanchi della situazione in Ucraina e della Siria ne hanno già avuto abbastanza. Hanno in parte compreso che per Putin la guerra è un fine in se stesso. Non porta business perché la Russia non è attiva nel campo della ricostruzione, per esempio. È solo propaganda.

Come può approfittarne l'Europa
Ecco dunque chiarito in parte anche l'atteggiamento di Barack Obama: lasciare la Russia al suo prossimo inevitabile declino. E la grande sfida che attende Usa e paesi europei della NATO: mostrare coraggio con una presenza forte nelle aree balcaniche, spostando il baricentro di azione nel cuore dell'Europa, per esempio a partire dall'Italia, e facendo capire a Putin che la Russia non è l'unico Paese in grado di difendere la sicurezza europea. Ammesso che lo sia.


Campo migranti di Idomeni, Grecia
Dan Kitwood/Getty Images
6 marzo 2016. Una bambina siriana sorride dalla sua tenda nel campo rifugiati e migranti di Idomeni, in Grecia, sul confine con la Macedonia.

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Ilaria Molinari

Sono nata a Roma, ma Milano mi ha adottata ormai da tempo. Sono web content manager di Panorama.it e di Iconmagazine.it. Ma niente mi rilassa di più che cantare, leggere e viaggiare. Dunque canto, leggo, viaggio. "Un vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi" (Marcel Proust)

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