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Perde la moglie e sette figli nel Mar Egeo: "Migrare non vale il rischio"

La storia di Alsaho, profugo siriano, e il suo appello disperato a quanti intendono lasciare il proprio Paese per raggiungere l'Europa

Sono partiti dalla Siria, diretti verso l'Europa continentale attraverso il Mar Egeo e poi la Turchia. Erano in nove: Alsaho, profugo della Siria orientale, la moglie e i sette figli, nove anni il più grande, appena venti giorni di età il più piccolo. Il motore della barca su cui viaggiavano è andato in panne e l'imbarcazione è colata a picco. Tutti morti annegati, tranne lui.

In un'intervista alla BBC, in lacrime, Alsaho ha raccontato la sua storia, fin dall'inizio, cioè da quando i trafficanti di corpi gli avevano assicurato che la loro barca era sicura, che non c'era bisogno di quei giubbotti di salvataggio. Quindici minuti. Tanto - a detta degli scafisti - sarebbe durata la traversata dello specchio d'acqua fino alla Grecia. E poi, finalmente, la fuga dal massacro avrebbe avuto un termine, e i suoi figli un futuro.

L'appello disperato

Le cose purtroppo sono andate molto diversamente. E oggi Alsaho ha voglia di gridare la sua disperazione, di lanciare un appello a tutti i siriani che vorrebbero lasciarsi alle spalle la loro condizione: "Non partite. Non andare per mare, i contrabbandieri sono dei traditori. Se date retta a loro perderete i vostri figli. Per quanto sia difficile, restate in Siria".

La sua è una vicenda fin troppo frequente. L'ultimo episodio, meno di una settimana fa. Anche in quel caso un gommone in avaria, un altro gruppo di migranti, tra cui sei bambini afgani, che ora non c'è più.

Quest'anno, sono state oltre 3.500 le persone morte o disperse mentre cercavano di raggiungere, per mare, il Vecchio Continente.

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Ansa
Migranti siriani in Macedonia, alla stazione ferroviaria della città di Gevgelija, 13 novembre 2015.

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Luciano Lombardi